giovedì 29 dicembre 2011

Vicino c'è la pioggia


Ho il piacere di pubblicare, oggi, il racconto di un'amica che in poche righe riesce a dipingere un quadro particolarmente descrittivo di sensazioni ed emozioni di una "normale" vita a due. [R.C.]


I vetri  di quella stanza erano completamente bianchi, non potevo scorgere neanche il minimo movimento delle foglie di quel grande albero, che era cresciuto secoli prima nel giardino.
Mi chiedevo perché avessi voluto pitturare anche i vetri, non sapevo mai se fuori c’era il sole, che splendeva o se il cielo era coperto. Sapevo solo quando pioveva. La pioggia si fa sempre riconoscere, batte contro i vetri e ti dice che è lì. Così ogni qualvolta sentivo la pioggia, saltavo dalla mia sedia e correvo giù per le scale fino a raggiungere il grande portone e da una finestrella posta in alto scorgevo e sentivo l’acqua battere la strada. Osservavo, in punta di piedi, i rivoli d’acqua che man mano si formavano e che pian piano invadevano la terra mi piaceva pensare, che in quel momento tutti i rivoli si incontravano e formavano un grande fiume, che poteva trasportarmi ovunque avessi voluto, ma vedevo solo piccoli fiumi di piccola portata niente che mi facesse presagire a qualcosa di grandioso.
Un giorno mi incontrasti sulla soglia di casa con un grande punto interrogativo sul viso, mi guardasti e quasi rimproverandomi, prendesti la mia mano e senza dir nulla salimmo le scale.
Avevo lasciato la porta di casa socchiusa perché non sapevo quanto sarebbe durata la pioggia, pensavo di assentarmi per pochi minuti quando in realtà erano passate quasi due ore.
Il tuo sguardo interrogativo mi faceva rabbia non sapevo cosa pensassi di me, forse credevi che ero completamente pazza, ma questo non mi importava volevo solo che mi dicessi qualcosa.
Misi su un bel disco, mentre sentivo che stavi componendo un numero telefonico. Volevo sapere chi era, ma ogni mia intromissione nella ‘tua’ vita era scambiata per persecuzione.
Aveva smesso di piovere e noi di mangiare. Davanti ad un caffè bollente consumavamo in silenzio le nostre sigarette. Volevo aprire la finestra dai vetri bianchi, ma dimenticavo sempre che avevi fatto in modo che rimanesse sempre chiusa. Il disco suonava la sua penultima canzone ed io sobbalzando dalla sedia, andai ad infilarmi un maglione , anche se tutte le finestre erano ‘murate’ sentivo freddo forse c’era qualche spiffero che tu non eri riuscito a trovare e a chiudere, ma era solo questione di tempo, un giorno o l’altro saresti riuscito a murare la porta d’ingresso e a fare in modo di entrare da un piccolo forellino.
Non potevo, però, suggerirti questa idea sarei stata una folle avrei frenato la tua micidiale fantasia, non sarei stata buona con te, così come spesso mi rimproveravi.
“Ci vediamo stasera, vado a leggere i giornali, stamattina pioveva, così non sono uscita.”
“Stamattina era più importante ‘guardare’ la pioggia!” era l’ironica battuta che uscì dalla tua bocca insieme ad una nuvola di fumo.
Non risposi, anzi mi allontanai velocemente da quella casa, così di fretta che dimenticai l’ombrello (poteva sempre piovere, pensai).
Le scale erano pulite, ma rotte in alcuni punti e dovevo far attenzione a non cadere, nonostante tutto scesi quasi correndo.
Feci il percorso a piedi. L’aria era gelida. Di tanto in tanto sentivo il rumore delle ruote di qualche autovettura e le rotaie dei tram facevano uno strano stritolio dopo tutta quell’acqua, ma il traffico non era intenso.
Raggiunsi dopo un quarto d’ora la mia meta. Era il solito cafè-pub, dove si possono leggere tutti i giornali che vuoi consumando anche una sola tazza di caffè. Molti si recano qui non soltanto per leggere, ma anche per conoscere qualcuno ed anch’io avevo conosciuto il mio…in realtà non sapevo cos’era per me quell’uomo. Non volevo soffermarmi su questo pensiero ero qui solo per leggere e volevo leggere.
“Un caffè, grazie.”
Mentre sorseggiavo il caffè, sfogliavo le prime pagine del mio quotidiano preferito, ero così attenta nel leggerlo che non mi accorsi neanche che un’orchestrina suonava del rock stonato e voleva imitare i grandi eroi moderni.
Feci una pausa ed accesi una sigaretta, il fumo bianco passava fra le dita e formava ogni tanto un cerchio, cha man mano saliva e diventava più largo e finiva così in alto che alla fine non lo vedevo più, aveva raggiunto la sua meta.
Davanti a me c’era una ragazzetta bionda che accavallava continuamente le gambe, distribuiva sorrisi grandi e dopo qualche minuto aveva ottenuto il successo sperato, infatti un gruppetto di tre ragazzi fecero a gara per offrirle tutte le bibite che desiderava e che avrebbe potuto consumare in una settimana.
Anche la musica si era presa una pausa, pensai di essermi intrattenuta abbastanza: un po’ di giornali li avevo letti e il pensiero della mia casa con le finestre bianche mi attirava, fra me e quelle finestre c’era un rapporto tipico di amor-odio, non so cosa alla fine avrebbe vinto o se sarei stata vinta.
Non conoscevo il mio nemico, ma sapevo che esisteva. Dovevo cercarlo e credevo si trovasse lì.
Dopo aver aperto il portone mi accesi una sigaretta mi piaceva entrare in casa con la sigaretta accesa fra le mani, speravo sempre di trovare qualcuno dentro che osservasse quanto ero brava nell’aprire la porta con le mani impegnate, ma dietro la porta non mi aspettava mai nessuno, meno che mai quella sera.
Accesi la radio, non sopportavo il silenzio assoluto mi faceva venir mal di testa, la mancanza di rumori mi procurava ronzii strani nelle orecchie. Stavo seduta con la sigaretta in mano e guardavo fisso in un angolo della stanza l’unico angolo rimasto vuoto in quella casa.
Aspettai il tuo arrivo, ma mi addormentai. Sognai che fuori pioveva e che finalmente potevo uscire per guardare.
Claudia Cozzucoli

mercoledì 21 dicembre 2011

Preghiera per la pioggia

Madre natura di Giordano Cavedoni


Un giorno colsi tra le mani le lacrime della mia ultima occasione.....
e mi profumai.
Uscii di casa senza una meta precisa 
e fu li, in mezzo alla strada
che incontrai la solitudine.
Uno sguardo fuggì dai miei occhi 
e si rivolse indietro.
Non saprò mai cosa vide veramente.
Quanti ricordi si perdono in questa emorragia di parole riflesse.
Di quanta indulgenza dovrò ammantarmi
per giustificare il mio ennesimo fallimento,
per nascondermi dietro "un impietoso destino".
Che vergogna
guardare le nuvole... e non pregare per la pioggia.

Rosario Ciotto

martedì 13 dicembre 2011

RICCIO


Perché scrivere queste pagine? A che giova?  Che ne so, in fondo, io stesso? E’ assai stupido chiedere agli uomini di giustificare i loro scritti, le loro azioni. (da “le memorie di un pazzo” di Gustave Flaubert).
Leggevo queste righe, poco prima che attirasse la mia attenzione un file abbandonato denominato cripticamente  “RICCIO”.
Il file conteneva, l’elaborato propedeutico alla partecipazione ad un concorso di design che auspicava l’ideazione di una fonte luminosa che traesse ispirazione da un “luogo peculiare”. Chiunque sia mai passato per Messina, capirà perché mi sono rivolto al mare, miniera inesauribile di ispirazione e sogni. Il suo rumore, instancabile metronomo, scandisce il ritmo del mio tempo e una serie di oggetti curiosi fanno ormai parte di una vasta collezione assieme alle altrettanto numerose illusioni spiaggiate. Dal  mare pescavo “riccio”, una fonte luminosa a semiconduttori LED composta da un corpo semisferico in acciaio spazzolato e da numerosi aculei, allungabili ed orientabili come le antenne di un apparecchio radio televisivo, culminanti in punti led luminosi. Una corrente invisibile, detta di volta in volta, a nostro piacimento delle forme da assumere. L’idea mi piacque e si concretizzò nelle immagini che vedete. Altro esercizio di forma, visto che al concorso non partecipai, che non saprei giustificare  se non nell’esigenza di vivere creando. C.V.D.
  
In queste ultime due immagini: riccio con gli aculei ruotati nella prima, visto dal basso, nella seconda, "in particolare".

martedì 6 dicembre 2011

Il cerchio della vita

Immagine e brano tratti da "Una vita immaginaria" di Rosario Ciotto

........ Il bagliore più intenso di un raggio di luce gli diede il coraggio di raccogliere le poche forze rimaste, la sua mano, nuda, libera da ogni pudore, si aprì e col fare di una cerimonia orientale tracciò un cerchio.
            Si parte sempre da un cerchio
per poi non sapere dove arrivare
si cerca
si guarda
l’apparente mutazione
ma inevitabilmemente
si arriverà ad un altro cerchio
il resto è solo atmosfera

il centro è il punto
l’unico punto che non muta
“non ci si può arrivare”
e anche se ci si arrivasse
non ci si accorgerebbe di esserci
perchè il centro è un punto
e la differenza da tutti gli altri punti
è solo dentro di se.
  
Immagine, testo e poesia si fondono per realizzare una delle pagine del libro "Una vita immaginaria", dove paure, speranze ed utopie, sono trattate in un componimento grafico-poetico che si discosta dai precedenti lavori pittorici. Sperimentazione e creatività costituiscono un connubio perfetto in queste pagine così rappresentative e vissute.
Rosario Ciotto