martedì 22 maggio 2012

L’inizio della fine


Questi versi dell'amico Josè Pascal dedicati ai familiari delle vittime del terremoto aquilano, rinnovano, con potenti e suggestive immagini, il dolore provocato dalla terra che trema. Lacrime e boati nell'attesa di un domani di vita e speranza. Un pensiero va agli abitanti dell'Emilia Romagna che hanno perso il sorriso nei giorni scorsi. [R.C.]


"Per non dimenticare il terribile terremoto dell'Aquila: desidero inviarvi un breve componimento che ho scritto in questi giorni, pensando soprattutto ai genitori dei ragazzi della casa dello studente dell'Aquila.
Ho scritto questa poesia per non dimenticare quella tragedia che condizionerà per sempre la vita dei familiari delle vittime".

L’inizio della fine

Siamo qui ad aspettare un semplice sì,
un qualsiasi segnale che smuova la nostra testa,
che sposti le lancette annodate del nostro tempo,
immobili,
eppure in un impercettibile movimento continuo teso a ricordare il passato,
a consumare quell’attimo in cui un alito di vento ha soffiato più forte portando via il tutto
e lasciando qui soltanto, l’inutile resto.
Tutto è immobile, fermo, impassibile,
eppure lì fuori c’è un rumore assordante, un gran chiacchiericcio.
La gente sorride, ci parla, ci abbraccia,
ma niente ci smuove.
Tutto inesorabilmente tace e scorre senza un presente. Figuriamoci un futuro.
E’ solo un brutto incubo - ripeto fra me e me - passerà, niente di tutto questo è vero!
Provo a svegliarmi da questo atavico torpore ma nulla ci appartiene, nemmeno la nostra vita.
Mi sento soffocare, manca l’aria, si stringe la gola, duole il cuore, soffoca lo stomaco, tremo fino ai piedi, piango e il tempo non passa mai.
Ma è già sera e tutto muta e riporta sempre a quell’istante in cui il vento ha soffiato più forte,
tutto si è fermato e la vita ha smesso di sorridere e il nostro cuore di sognare.
Aspettiamo un altro domani e speriamo nella vita che verrà.

[Pensiero estratto dalla scatola di latta di Josè Pascal]

martedì 15 maggio 2012

1218

1218 con schermi aperti e filtro a fori tondi
1218 con schermi chiusi e filtro a fori tondi  

“E luce fu”, credo sia la frase della bibbia che più mi colpì da bambino, quando ancora non possedevo alcuna coscienza di quanto importante potesse diventare la dicotomia luce/tenebra nel mio futuro. Il suono di quelle parole, mi incuteva il senso dell’onnipotenza. La presenza o la mancanza di luce era, per me, l’espressione più alta della tangibilità di ogni cosa, di quanto a noi fosse concesso conoscere sia fisicamente, sia metafisicamente. Questo fluido evanescente, fonte di vita e conoscenza ci dona la certezza di esistere foss’anche solo per l’ombra che proiettiamo quando ne siamo colpiti. E’ proprio quest’aspetto che ho voluto indagare maggiormente, la relazione tra quanto è illuminato direttamente, indirettamente e la porzione di tenebra che ne scaturisce che ci nasconde alcuni significati evidenti ma ci svela la saggezza recondita delle cose eclissate.
“Qualcuno” l’aveva già creata, ma io potevo tentare di plasmarla.
Di questi pensieri e di una sperimentazione per la valorizzazione della luce piuttosto che del corpo illuminante che 1218 risulta figlia. In alluminio o materiale traslucido, “la scatola” assume prettamente funzione di contenitore di funzioni che determinano gradi diversi di diffusione e riflessione della luce. Un semplice contenitore che dispensa una luminosità indiretta e tenue a schermi chiusi, con dimmer a minimo, mentre proietta dei fasci diretti ed intensi a schermi aperti con dimmer alla massima apertura. Filtri e lampade diverse per modificare forme e colori, assieme a schermi e prismi interni mobili che variano caratteristiche riflettenti, rifrangenti e diffondenti dell’apparecchio fanno di questa scatola luminosa una specie di carillon della luce che può essere proposto secondo morfologie puntuali o longitudinali.
Rosario Ciotto

lunedì 7 maggio 2012

Due tondi

Due vecchi lavori, inizi anni novanta, legati da una stessa forma e da una tecnica, olio con inserti materici, che mi porto ancora dietro. Due opere gemelle, ma concettualmente eterozigote, legate paradossalmente da un simbolo di generazione comune: l'uovo. Due metafore e due "attori" per ogni dipinto: nel primo, ambedue descritti, nel secondo, uno si può solo intuire. 

Amore e Psiche (olio su tavola con inserti materici)
Appagamento dei sensi, fame d'amore che divora l'altro fino a ingoiarlo. Ogni creatura attende bramosa l'attimo in cui il cerino illumina il volto dell'amato per tramutarsi in fuoco fatuo, breve, intenso... un fremito che si tramuta in cenere.


Madre (olio su tavola con inserti materici e collage)
 Nascere è già morire. La negazione di un essere che implode in sè per generare un essere per il mondo. Dolore, sangue e sudore tracciano un cammino sulla sabbia che, all'improvviso, resta un'orma soltanto abbandonando alla solitudine il proprio frutto.

 Rosario Ciotto