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 La sindrome di Hide

Roscio, Prigioni di vita 1987 (40 x 50) olio su tela
 
La sindrome di Hide ha colpito anche me, non avete idea di quanti "cassetti confusi" possegga. Proprio ieri ho trovato un album coi "cimeli" di una mia mostra del lontano 1989. Che emozione, ritornare ventenne per qualche minuto e toccare quelle carte con la passione dell'archeologo sapendo peraltro che il reperto, in qualche modo, è frutto della tua civiltà. L'idillio è breve, come una stilettata codarda, l'impetoso calcolatore dei bilanci di vita (l'avete presente quello che compare ad ogni compleanno o a capodanno, ecco proprio quello. Stavolta non l'avevo neanche sentito arrivare) mi colpisce alle spalle scandendo con lampeggi  e ululati un numero...... 2012 ....... Ventitre anni sono passati. L'infame sicario non mi lascia assaporare nemmeno un attimo, mi coglie alla gola e stringe. Combatto con tutte le energie che posseggo, pensando peraltro che l'estate mal si addice a cotanta tenzone, mi svincolo dalla presa e con un balzo felino afferro lo scanner e lo faccio partire. Dovevo pur fare qualcosa, reagire con prontezza, questo il segreto. Quindi, augurandovi delle serene ferie, vi lascio  con le scansioni di una vecchia brochure, alcuni vecchi dipinti e una serie di vecchie e nuove malinconie. Ciao a tutti, Rosario Ciotto

P.S. Per chi non lo conoscesse, Hide è l'amministratore del blog "cassetti confusi"
Roscio, crocifissione 1987 (100 x 120) olio su tela







Diciamo SI al futuro





Ricordiamo intanto il motivo per il quale siamo chiamati ad esprimere il nostro parere il 12 e 13 Giugno 2011:
a) referendum popolare n. 1
Modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici di rilevanza economica. Abrogazione;
b) referendum popolare n. 2
Determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all’adeguata remunerazione del capitale investito. Abrogazione parziale di norma;
c) referendum popolare n. 3
Nuove centrali per la produzione di energia nucleare. Abrogazione parziale di norme;
d) referendum popolare n. 4
Abrogazione di norme della legge 7 aprile 2010, n. 51, in materia di legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri a comparire in udienza penale, quale risultante a seguito della sentenza n. 23 del 2011 della Corte Costituzionale.
Ricordiamo inoltre che si vota SI se non si è d'accordo, si vota NO se si è favorevoli
Personalmente ritengo che gli ultimi referendum per cui siamo stati chiamati si sono rivelati quasi tutti delle occasioni mancate per esercitare il più elementare dei diritti democratici. Spesso queste bagarre elettorali gestite dalle componenti politiche avverse sono divenute scaramucce per l’esercizio di pressioni politiche con conseguenti soldi pubblici spesi inutilmente per la gestione di tutto l’apparato che deve muoversi per ogni chiamata alle urne. Questa volta, più di altre, serve un’adesione di massa, un plebiscito che mostri al mondo un’Italia ancora unita, che voglia far rispettare i propri diritti civili (quei pochi che non hanno spazzato via).
Quando il 12 giugno vorremo dedicare una domenica al meritato riposo, pensiamo soltanto per un attimo a quanto poco tempo costi mettere quattro croci e quanto ciò costituisca un gesto di fondamentale importanza per il nostro futuro. E se proprio domenica non è possibile, andate lunedì!
Anche coloro che hanno perso il loro senso civico, perché nauseati da un sistema fallimentare, sapranno quanto è importante allontanare il pericolo del nucleare, cosa diverrebbe la spesa per l’acqua se la gestissero i privati e quanto sia importante rispettare l’art. 3 della tanto maltrattata Costituzione italiana che riconosce l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge e ne vieta discriminazioni e privilegi.
Le tv, stranamente(!!!) non stanno promuovendo l’evento, soltanto il web si è attivato per diffondere quanto più possibile la notizia.
Spero che ognuno di noi trovi tempo, voglia, spirito solidale e rabbia sufficienti per andare a fare il proprio dovere. Ancora due settimane d’attesa e sapremo cosa accadrà.

Vignetta e articolo di Rosario Ciotto


IL PENSIERO ESTETICO ED IL GIUDIZIO DI VALORE NELL’ INFIDO MONDO DELL’ARTE

Lo spirito dell’uomo, perennemente alla ricerca del bello e della perfezione, è sempre stato teso al raggiungimento di quelle forme, luci ed ombre che classificano a pieno titolo un’opera come “opera d’arte”. L’incessante percorso che conduce per mano l’essenza creatrice degli uomini, ha dato vita all’estetica che, come la stessa etimologia richiama, concerne il “sentire”, la mediazione dei sensi ed indaga filosoficamente il bello e l'arte. 
                                                              Cristo velato Giuseppe Sanmartino, 1753
Ritenendo sterile darne una definizione, risulta, invece, interessante indagarla storicamente e filosoficamente nelle sue espressioni intrinseche. 
Il processo di lenta ed inesorabile metamorfosi del pensiero sull’arte, ebbe inizio nel momento in cui  la logica si scisse nettamente dall’estetica. La “cognito sensitiva”, con cui Baumgarten contrappose pensiero e sensibilità e la "teoria del bello" furono plasmate ed articolate per soppiantare definitivamente l’arte come mimesi o trascendenza.
L’arte, attraverso i secoli, è cambiata proporzionalmente alle evoluzioni ed involuzioni dell’uomo. Le opere considerate “d’arte”, la critica e le tecniche adoperate per le produzioni si sono trasformate, trasformando reciprocamente la società.
In quanto campo fondante dell’essere umano, l’arte è sempre stata una categoria filosoficamente indagata. Anche chi non ha fatto studi classici ricorderà, ad esempio, che se Platone avesse regalato un quadro o una statua, più che un dono sarebbe stato un dispetto a qualcuno che non era collocabile esattamente nella sua cerchia di amici simpatici. Considerando, infatti, l’arte una copia della copia del perfetto mondo ultrasensibile, poteva velatamente dire che quello era la brutta copia di un perfetto amico. Aristotele, invece, avrebbe potuto presiedere la giuria di un concorso di bellezza; per lui il "bello" è un concetto quasi matematico, implica ordine, simmetria di parti, proporzione. E chissà quanto avrebbe sofferto Kant se, vivendo ai giorni nostri pregni di volgarità e cattivo gusto, lottando contro i mulini a vento, affermava che l'arte dipende da alcune facoltà mentali umane, quali il gusto e l'estetica che generano il piacere. Ed è proprio la dissertazione kantiana che traghetterà il concetto d’arte dall’illuminismo al romanticismo in cui essa assume un pregnante significato teleologico. E ancora Croce, richiamandosi a Vico che per primo ha avuto il merito di distinguere l’intuizione dall’intelletto, che definisce l’arte intuizione lirica sintetizzando meravigliosamente il connubio tra captazione istintiva ed espressione visibile.
Solo per citare alcuni grandi pensatori che hanno dato un contributo fondamentale all’arte, è bene ricordare anche una teoria di marxiana memoria secondo cui l’arte è storicamente determinata. Non può che essere figlia dei tempi, pertanto i caratteri universale ed eterna non le vengono riconosciuti. Nessuno oggi dipingerebbe “La Vergine delle rocce”, né scolpirebbe “Il Discobolo”, l’anacronismo risulta evidente.
Il bello vuole essere soltanto sentito, contemplato, vuole regalare quell’attimo di quieto scuotimento che riesca ad arricchire la nostra anima. 
                              Sfere di plastica da Trinità dei Monti , Graziano Cecchini, 2008
Una cosa è certa, sinceramente dubito che la merda d’autore o una colata di palline a piazza di Spagna, possa provocare, anche nello spettatore più sensibile, la sindrome di Stendhal, la stessa che rapisce chi si trova a Santa Maria Maggiore, chi è al cospetto della perfezione marmorea del Canova o chi si trova innanzi ad un Michelangelo.
Ma quell’innegabile perfetto connubio esistente tra spirito e natura, intimamente legate da sottili fili di chiari di luna, che nel corso dei secoli ha generato i capolavori più belli e rinomati dell’arte, sembra essersi perduto attraverso i secoli a vantaggio della necessità di espressione e comunicazione.
Cosa resta di quell’impulso interiore che spinge l’artista a dare alla luce un’opera? Questa aspirazione spirituale nell’urgere di un sentimento è sempre onesta o è diventata solo mestiere? E l’apparato intellettuale che ha strutturato quanto è stato descritto cosa è diventato? Sono domande che si pone chi, osservando e seguendo da sempre l’arte, si  rende conto che ormai chi tiene i fili dell’apparato sono i signori critici dell’arte, trasformati in vere e proprie sanguisughe che, gestendo come tiranni questo mondo, succhiano le anime di chi lo produce. Intenti soltanto a plasmare contenitori spesso vuoti, i sovrani assoluti della vernissage, li assurgono al rango di artisti solo per ostentare potenza commerciale e creare il fenomeno mediatico in grado di concimare un substrato di redditizie menzogne. Per un artista l’immaginazione e la fantasia sono indispensabili o basta un ammiccamento alla logica della autopropaganda col solo fine di stupire? E la comunicazione, altro elemento che ha riempito le pagine dei tomi culturali moderni, è indispensabile? E quanto deve essere esplicitata?
Elaborare un input esterno e convertirlo in immagine artistica dovrebbe essere l’alchimia capace di trasformare la tangibilità in pura realtà spirituale, universale, eterna.
E’ significativa, in tal senso, la differenza tra moda e arte che indica la prima come bellissima appena creata che diviene orribile invecchiando mentre la seconda, quasi sempre orribile appena prodotta anela un destino immortale.
L’entità sovrannaturale dell’esperienza artistica, quasi come un miracolo, viene definita dall’estetica “intuizione” nell’accezione di visione, immaginazione. Un’intuizione che nell’anima dell’artista deve essere già chiara e matura. E’ strano come da una folgorazione dell’attimo arrivata quasi per caso ad un ricettore sensibile si possa concretizzare un’opera d’arte: una magia, sulla quale tanta gente, con la presunzione del veggente, riesce a scrivere ciò che qualcun altro avrebbe voluto intendere, esprimere, comunicare. Un episodio squisitamente interiore, frutto di una tensione spirituale, ridotto nelle intenzioni di un fattorino travestito, a rango di buon affare. E’ curioso sentir parlare dell’”infido mondo dell’arte” così come viene comunemente definito oggi questo contenitore di passioni, occasioni ed ipocrisie. Per non parlare di “gallerie dai “pedigree inattaccabili” selezionate in maniera discutibile da curatori/affabulatori che alla fine si riducono a fare gli organizzatori di eventi mondani ad altissimo tasso di glamour. Questo, l’ex magico mondo dell’arte: un’accozzaglia di artisti e presunti tali baciati dal successo, collezionisti ricchi e prepotenti, businessmen, galleristi, critici, curatori e vampiri di ogni tipo. Ma la platea dov’è? Il fruitore o, come oggi potrebbe essere definito coerentemente, l’utilizzatore finale, cosa si trova davanti? E come dovrebbe fare oggi un artista a diventare famoso? E’ ancora importante avere qualcosa da dire e comunicarla in maniera originale? No, oggi la sola cosa importante è bussare alla porta di un gallerista influente o a quella di un curatore che per motivi spesso non comprensibili esplicitamente, deve convincere qualche collezionista a comprare qualcosa del talento in vetrina. Relazioni giuste e strategie, questo è il segreto. E allora benvenuto mister Banksy, solo così si poteva riportare veramente l’arte tra la gente e non seppellirla in una galleria d’arte cui accedere soltanto previo invito.
I soliti paradossi della vita: levare dalla condizione di prostituzione l’arte mettendola sulla strada…

                                                                                                                     Graffit removal, Banksy





Una notte per la cultura in un’assopita città provinciale
di Rosario Ciotto


                                                             "L'apparenza" di Rosario Ciotto

Domenica mattina, mi sveglio ed apro le imposte. Volevo già da tempo deporre il cilicio delle considerazioni su quanto vedo e quanto penso a corredo, ma la sindrome del flagellante prende, come sempre, il sopravvento. Che spettacolo, il mare mi appare come una trama di luce tessuta dal vento, è incredibile, sembra velluto operato di un blu cobalto che satura i contorni del fotogramma-finestra. Arrivo quasi a toccare i gabbiani, e alcuni fiocchi di nuvole, all’orizzonte, accarezzano le punte più alte della prospiciente Calabria. Poi volto le spalle e la cinghia uncinata incomincia a mordere i miei pensieri. Si, è una tortura guardare il paradiso e viverlo come un girone dantesco. Fortunatamente oggi rimango in casa. Non passerò un’ora della mia vita maledicendo il mio conto in banca che non mi consente l’elicottero, non vedrò le mie gentili concittadine truccarsi in auto, che tanto qualcosa si deve pur fare, e soprattutto non metterò a rischio ammortizzatori e coronarie che assistono impotenti ai buchi stradali e civici cercando di scansarli alla meglio. Chissà se questo strumento oltre al dolore mi lascerà un po’ di purezza, non è un dolore estremo ma costante quello che mi ricorda la scelta dell’anacoreta che sopprime l’idea di vivere, fuggendo, un mondo ideale fatto di arte, cultura, relazioni, per isolarsi, restando, in un quadro dove una cornice strepitosa cinge un dipinto mediocre. Paura, sicuro, ma un tempo anche speranza e voglia di fare, voglia perduta tra gli affanni della vita, tra le prese di coscienza di un impotenza congenita, ereditata per caso da qualche “padre” accidioso. In questo scenario, da qualche anno si aspetta con ansia “LA NOTTE DELLA CULTURA”, Kermesse cittadina con qualche risvolto mondano nella quale si veste la città con ricchi premi e cotillon per promuoverne la cultura ed orientare i suoi assopiti cittadini verso lidi che non rispecchino il gioioso carnaio di quelli estivi. Una notte, un’unica notte, nella quale le nostre belle dame, armate di idonea pelliccia da combattimento ostentano retaggi culturali d’elite. E’ un’INIZIATIVA LODEVOLE, sia chiaro ma è paradossale che una città, universitaria per giunta, debba proporre uno sporadico evento annuo per inoculare una compressa culturale nell’organismo di un moribondo bisogno di corroboranti trasfusioni. Sarebbe ora di strutturare un programma serio definito e costante di eventi culturali capaci di attrarre un interland vastissimo e soprattutto di pensare seriamente alla costruzione di un “ceto” culturale cittadino che, al di là di qualche snob atteggiato, non produce nulla di rilevante da tempo immemorabile. L’investimento nell’arte si potrebbe rivelare più redditizio di quanto si pensi in un’ottica di rilancio, se davvero c’è una volontà di rilancio. O forse si vuole ancora continuare e perseguire strategie borboniche miranti al mantenimento di una perenne condizione del bisogno, substrato necessario per arrogarsi posizioni stabili di rilievo e potere fondate sul soddisfacimento di bisogni illusori e improduttivi per l’emancipazione reale di una cospicua fetta di cittadinanza mantenuta “ignorante” ad ogni costo. L’ho sempre detto, a mio avviso, è stato un progetto pianificato con cura, far dormire un popolo tra i guanciali di un assistenzialismo assopente per garantire il governo, e non parlo esclusivamente delle istituzioni politiche, di un manipolo di mediocri miopi e senza prospettive. Se si pensa che, alla fine, il maggior imprenditore della città è un bigliettaio paludato da manager. La pianificazione in tal senso è reale ed effettiva. Pensate bene alla morfologia del nostro territorio antropizzato. Una linea costiera nobile, anche se stupidamente mortificata nella sua risorsa più preziosa, l’affaccio a mare ed una serie di contenitori-dormitori semibaraccati, lungo i corsi dei torrenti chiamati con disprezzo “quartieri popolari” da tenere in sotto l’incombenza di un costante regime di bisogno. Ecco, la cultura in questa città bisogna immaginarla come una rivoluzione costante, fatta da coraggiosi idealisti che si immolano sull’altare dell’indifferenza. Idealisti da precettare in ogni campo: politica, istruzione, imprenditoria e semplici cittadini mossi dall’urgenza del rinnovamento intellettuale che urla a chiara voce dalle viscere della città. Una città a cui non  può bastare “tutto in una notte”.
P.S. Io ci sarò

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