La poltrona dell'ospite


Europa: un'occasione perduta


Un vento di cambiamento, dicono.
A me sembra somigli più ad una tempesta di vecchio.
L’Europa è un’esigenza che diventa sempre più urgente e, come un figlio urlante davanti all’ennesimo giocattolo, chiede … chiede …chiede.
Se volgiamo lo sguardo indietro l’idea di Europa nasce, per quanto riguarda i nostri confini, dalla mano di Alcide De Gasperi che, considerando il periodo storico (era appena terminata la seconda guerra mondiale), era mosso dall’unità rivolta, in modo particolare, alla difesa comune. Basti pensare alla nascita della CECA, la forma embrionale dell’UE, che vede luce proprio per mettere in comune la produzione franco-tedesca del carbone e dell'acciaio, già scenario di infinite battaglie nei conflitti mondiali. Dunque la pace è la parola chiave che apre le porte all’Unione Europea. Cosa accade allora nel corso degli anni? Perché questi continui cambiamenti che hanno fatto dell’espressione Europa, un mostro dalle cento teste? La lezione di Altiero Spinelli ci insegna che è necessaria una federazione degli stati europei, quella che, tanto per imitare come sempre l’America, viene chiamato progetto Stati Uniti d’Europa.
Sentite come suona imponente, faremmo paura al mondo così!
Peccato che la Germania ha imposto la propria visione di superamento della crisi economica costringendo a riforme cieche rispetto le singole realtà e che hanno trascinato nel baratro alcuni paesi dell’eurozona.
Un federalismo, in termini redistributivi, significherebbe un’eccessiva differenziazione di quei servizi fondamentali, quali sanità ed istruzione,  indebolendo, così, il diritto di uguaglianza riconosciuto su questi beni essenziali. Una situazione del genere avrebbe come effetto immediato  una spaccatura sempre più forte tra ricchi e poveri. Un altro mattone nel muro della globalizzazione che leva il respiro alle piccole realtà. Quelle realtà che hanno conferito ad ogni stato e ad ogni comunità, grande o piccola che sia, un proprio volto, dei tratti caratteristici che verrebbero cancellati con un colpo di spugna.
Secoli di lotte e sacrifici rischierebbero l’annullamento totale per un volere economico-politico che fagociterebbe gli sforzi del singolo. I cittadini sono stanchi di sottostare a tasse sempre più alte per cose che non hanno un riscontro immediato; sono saturi di promesse mai mantenute da una demagogia sempre più presente soprattutto alla vigilia di nuove elezioni, questa volta europee.
Eppure fino a qualche giorno fa ho assistito ad una conferenza che ha esordito con l’imponente frase d’effetto “L’Europa è il posto migliore dove nascere”.
Si???!!! Provate a dirlo a tutti quegli uomini che si sono levati la vita per aver perso il lavoro, per essere mortificati giorno dopo giorno, per aver tolto loro la dignità di essere umano. In una parola per avere affossato le carte dei diritti fondamentali, le costituzioni italiana ed europea.
Abbiamo bisogno di sicurezza e lavoro e i nostri uomini politici, che non possiamo neanche più scegliere per una ridicola staffetta che vede passare il testimone tra rampolli rampanti e vecchie volpi puzzolenti, cosa fanno? Pensano alla macro-economia, all’urgenza dei parametri che ci tengano ancora saldamente ancorati ad una situazione che ci sta annientando lentamente, ma inesorabilmente.
Giulia Bolle




PSICOESTETICA: la bellezza attraverso la mente

manifesto surrealista di Andrè Breton
illustrazione Renè Magritte 1924







Ciao amici. Da oggi proverò a dare voce a questo blog per un periodo, almeno finchè “il grande assente” non tornerà a stupirci con i suoi lavori che hanno trovato il vostro apprezzamento.
Cercherò di riempire il vuoto attraverso un percorso a cavallo tra storia dell’arte e psicologia.
Grazie a tutti quelli che vorranno ricominciare a seguirci.

Se la psicologia sia una scienza è da sempre un dibattito aperto che vede schierati umanisti e scienziati. Questi, com’è noto, si battono per affermare l’inutilità e l’arbitraria elevazione a ruolo di scienza della disciplina psicologica, adducendo come prima motivazione la sua impossibilità alla formulazione di leggi, ma soltanto probabilità, l’inefficacia terapeutica e l’inconsistenza gnoseologica. Ammesso che ciò sia vero, è, però, innegabile il suo essere un ponte perfettamente modellato tra filosofia ed ermeneutica ed il fascino che esercita, nelle sue varie espressioni e sfaccettature, sugli uomini che vogliono indagare la mente umana. Come agisce, come risponde, come si muove nella realtà che la circonda.

Per quanto i campi di applicazione psicologica costituiscano una vastissima gamma, mi vorrei soffermare su uno degli aspetti più “emozionali”, ovvero il suo ruolo in campo artistico. Gli artisti, particolarmente sensibili alla realtà che li circonda, riescono più di ogni altra “categoria umana” ad entrare nel profondo dell’essenza antropica. Ciò rende particolarmente naturale il rapporto con la psicologia, anche se oggi si parlerà, in modo particolare, di psicoanalisi. 
L’artista con cui voglio dare il via è Renè Magritte, genio indiscusso, innovativo e sagace osservatore di realtà insolitamente rappresentate che decontestualizza oggetti e persone, lasciando lo spettatore ad un primo sguardo sgomento. Analizzando con più attenzione le sue opere e cogliendone il senso profondo che ne ha voluto dare, si capisce bene come l’artista si sia lasciato profondamente influenzare dalle sue esperienze e dalle neonate teorie freudiane.

Renè Magritte - "Le viol", 1934, Menil collection Houston
 Nel quadro “Le viol” ,che è anche il manifesto del surrealismo, l'artista trasforma il volto  di una donna nel suo corpo nudo (ricorrente spesso nelle sue opere), oggetto di  desiderio per antonomasia. Un corpo che diventa un involucro anonimo, privo di  individualità, di espressione  e di sentimento. Al di là del titolo che lascia immediatamente pensare alla violenza carnale subita da una donna, l’artista fa riferimento anche a come lo sguardo di un uomo superficiale e “selvaggio” veda una donna esclusivamente nella sua funzione di “corpo”, negandole la sua essenza più vera, quella dell’anima e del sentimento. Appaiono chiare l’impronta onirico - psicoanalitica: spostamento e condensazione creano un’inquietante immagine surrealista della donna violentata, ma non necessariamente in senso fisico. Questa centralità del nudo in Magritte, richiama una teoria di stampo freudiano, secondo cui la sessualità rappresenta, insieme alla nascita e alla morte, una delle esperienze più significative e di maggiore impatto per la costruzione della personalità e causa prima dei suoi maggiori disturbi mentali. Seppur ultracentenario, questo modo di pensare si mostra in tutta la sua attualità, basti pensare a tutte le deviazioni sessuali che fanno da teatro alla quotidianità.



Renè Magritte - "Doppio segreto", 1927, museo nazionale d'arte moderna, Centro Georges Pompidou
Non meno carico di senso psicoanalitico è “Il doppio segreto”, questa figura dallo sguardo freddo e inumano la cui lacerazione mostra una spaccatura profonda che ci lascia vedere una realtà ruvida e nodosa molto diversa dal volto liscio, privo di espressione. Una realtà, quindi, ben diversa dall’apparenza. Quell’apparenza che, oggi più che mai, seduce e incanta al primo sguardo, che ci rende superficiali a tal punto da non riuscire a capire che dentro ogni uomo c’è un’effettività opposta che viene nascosta più o meno coscientemente e che gli impedisce di muoversi con com-passione verso gli altri. Quei nodi interni all’uomo possono rappresentare le problematiche interiori, ma anche un riferimento all’infanzia (tema frequente nei suoi quadri) per via della somiglianza che hanno ai sonaglini. Quell’infanzia che la psicoanalisi considera una tappa fondamentale per la strutturazione di una personalità stabile, con un io forte che sappia equilibrare le opposte richieste di es e super-io.
Il “doppio”, tema ricorrente nell’autore, qui si spacca invece a metà per mostrare realtà fragili di un uomo che, non dimentichiamolo, sta provando a risorgere dalle ceneri del primo conflitto mondiale (l’anno di questo quadro è il 1927), un uomo svuotato della propria dignità, della propria essenza e disumanizzato per la brama dei potenti. Magritte vive entrambi i conflitti mondiali che, evidentemente, suscitano in lui riflessioni e immagini, come possiamo vedere ne "La grande guerra" (1967). Sullo sfondo di un cielo piatto e grigio un uomo nascosto da una mela verde che cela proprio la parte più “viva” e personale di un volto: lo sguardo. Uno sguardo spazzato via dalle trincee che hanno annullato la personalità a tal punto da cancellarne metaforicamente il viso.


Il “doppio”, tema caro a Magritte, ma anche a Freud nella sua teoria meno conosciuta, ma molto interessante del perturbante. Nel suo saggio, tra le altre spiegazioni, osserva che il sosia, e in generale il doppio, è un motivo perturbante perché, il duplice è qualcosa che sovrasta l'io portando angoscia. In tal senso si può anche pensare allo sdoppiamento di personalità in gravi situazioni mentali.

Una situazione limite abilmente dipinta in “Riproduzione vietata”, quando un uomo, guardandosi allo specchio, piuttosto che vedere il suo viso, scorge una realtà prospettica insolita 

Renè Magritte - "La riproduzione vietata", 1937, museo Boymans di Rotterdam
Ciò che siamo abituati a vedere, si mostra all’improvviso diverso. Era sufficiente scavare un po’ più a fondo, andare oltre la superficialità e l’apparenza, come vuole la psicoanalisi(?).                                                                                                 Giulia Bolle
          

Le fabbriche della morte




L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro.

Il lavoro nobilita l’uomo.

L’elenco potrebbe proseguire a lungo, ma il concetto non cambierebbe.

La costituzione italiana lo tutela e promuove in ogni sua forma. Lo statuto dei lavoratori, emanato dopo lotte sanguinose nel ben lontano 1970 ha lo scopo di  tutelare i diritti fondamentali dei lavoratori dipendenti e delle rappresentanze sindacali di fabbrica, di  garantire un corretto rapporto tra questi e la direzione aziendale, di sancire la libertà di opinione del lavoratore.

Eppure in questa Italia martoriata, il lavoro si trasforma giorno dopo giorno in un massacro. Cantieri non messi in sicurezza, edifici fatiscenti e, non ultimo, schiavismo.

È evidente il riferimento alla tragedia accaduta a Prato, fino a qualche anno fa città dai pregevoli manufatti lanieri e di tessuti in genere, oggi città caduta nella crisi e nelle mani di stranieri che importano abitudini del luogo natio. Lungi da me un discorso razzista, analizzo i fatti. La fabbrica – dormitorio in cui si è consumata la disgrazia che ha visto 7 morti e due feriti, mi fa sorgere una domanda: in che anno siamo? Forse la rivoluzione industriale, caratterizzata dallo sfruttamento dell’operaio la cui unica soddisfazione era ubriacarsi la sera e stramazzare al suolo per stanchezza e alienazione non era finita da circa duecento anni? Forse i secoli cambiano, ma il problema rimane: se qualcuno “osa” denunciare lo sfruttamento perde quel po’ che ha per un’infima sussistenza e, in ogni caso, “lì fuori ce ne sono centinaia a prendere il mio posto”. Insomma è la disperazione che mette in moto le nostre azioni e le nostre scelte, ammesso che di scelta si possa parlare. Ci hanno lavorato sodo per ridurci così…e ce l’hanno fatta. Disposti a rischiare la stessa vita, a condurla ai margini della società, a renderla invivibile pur di avere un minimo emolumento che possa farci sopravvivere, anche se come bestie.

Dove sono i responsabili di questo continuo calpestio ai diritti inalienabili dell’uomo, quelli sanciti nelle Costituzioni, nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo? Perché in Italia le leggi, la buona creanza, le libertà e i diritti devono rimanere soltanto vuote parole prive di applicazione pratica? Cosa potremmo fare nel nostro piccolo per supplire alla cecità della politica che si lascia scivolare tutto addosso, intenta com’è a pensare alla prossima tassa che non farà altro che spingerci ancora di più verso la disperazione?

Eppure appena pochi giorni fa ho assistito ad una conferenza iniziata con le parole: “L’Europa è il posto migliore dove nascere”. Certo se ci paragoniamo a uno dei paesi africani in cui per bere un bicchiere d’acqua i bambini sono costretti a fare venti chilometri scalzi, forse è vero. Ma è un parametro che non funziona. Non possiamo dire che siamo fortunati o che si sta bene per il fatto che apriamo un rubinetto o accendiamo un interruttore. Cosa dire di tutti quei disperati che si sono tolti la vita per la disperazione di aver perso il posto di lavoro a cinquant’anni? Li abbiamo già dimenticati? Dov’è la dignità umana? Che fine hanno fatto le lotte dei nostri padri/nonni orgogliosi di combattere per ciò che era giusto e non per il tornaconto personale. Lo sconforto sta per prendere il sopravvento e, pur con tutte le speranze che possiamo avere, quando vedremo la luce fuori dal tunnel?
Giulia Bolle
Il mondo è bello perchè è vario

Indeterminatezza


Il mondo è bello perché è vario!
E io sono vario?
Secondo te come sono?
Sono vario?
Che significa vario?
Sono strano, o normale?
Ma che significa normale?
E strano?
Strano chi è?
Che cos’è strano?
Le cose che accadono sono strane!
Oppure sono le cose strane?
Forse sono strane le persone?
E tu come sei?
Sei strano, o normale?
Sorridi?
Mi sembrava!
Perché ti accarezzi sempre i capelli?
Certo che sei strano!
Perché?
Bah, perché si. Ma anche no!
Tutto è possibile!
Forse sono io che non sono normale!
Sono strano?
Il mondo è bello perché è vario!
Josè Pascal




Cuore latente

Una noce di fumo si scioglie nell’aria spargendo le ceneri di fantasmi in agguato.
Il vento scompiglia capelli e pensieri verso la nebbia di un ignoto domani.
Dolce triangolo che traghetta una luna a ¾ verso voci smarrite e sagome sfocate che sorridono beffarde.
Trema il cuore con le sue paure
brividi che si spandono sulla pelle bianca affamata di carezze.
Se avrai voglia di imparare a conoscermi trascendendo oltre i limiti della brama di possesso che ingurgita i sensi
vedrai un cuore che pulsa rapido sulla panchina fredda di una stazione nebbiosa tra le stelle e l’alba di miele, tra parole taciute e lacrime asciutte.
Calore di corpi sudati frementi di passioni innescano meccanismi che generano l’universo e le sue contraddizioni.
Alchimie di sguardi calamitati intorno a  un logos primitivo e caotico che genera fremiti, palpiti e sudore d’amore.
Spingo invano le lancette del cuore.
Una timida alba invade la notte vestendo l’azzurro di un cristianesimo pagano che si erge a monito di un passato che mi renderà per sempre un’anima a metà.
Giulia Bolle


Pollution


Emergenza ILVA di Taranto: che le ferie non ci assopiscano. C8line pubblica una poesia di uno dei suoi amici più affezionati: Josè Pascal.

Pollution

Maleodore ficcante
mia lenta rovina,
ti insinui nei meandri
risali la china.

Consciamente impotente
provo a lottare,
chiudo porte e finestre
ma son costretto a respirare.

Nocive sostanze
conquistano i polmoni,
e ogni giorno che passa
vivo mille frustrazioni.

Com’è piccolo il mondo
dove un battito d’ali,
irradia veleni
negli anfratti lontani.

Non c’è scampo
siam spacciati,
tristemente guidati
dalle nostre mani.

Sogni e speranze
fuggon lontani,
e i miei occhi annegano
nelle mie meste lacrime.

 L'inizio della fine


Questi versi dell'amico Josè Pascal dedicati ai familiari delle vittime del terremoto aquilano, rinnovano, con potenti e suggestive immagini, il dolore provocato dalla terra che trema. Lacrime e boati nell'attesa di un domani di vita e speranza. Un pensiero va agli abitanti dell'Emilia Romagna che hanno perso il sorriso nei giorni scorsi. [R.C.]


"Per non dimenticare il terribile terremoto dell'Aquila: desidero inviarvi un breve componimento che ho scritto in questi giorni, pensando soprattutto ai genitori dei ragazzi della casa dello studente dell'Aquila.
Ho scritto questa poesia per non dimenticare quella tragedia che condizionerà per sempre la vita dei familiari delle vittime".

L’inizio della fine

Siamo qui ad aspettare un semplice sì,
un qualsiasi segnale che smuova la nostra testa,
che sposti le lancette annodate del nostro tempo,
immobili,
eppure in un impercettibile movimento continuo teso a ricordare il passato,
a consumare quell’attimo in cui un alito di vento ha soffiato più forte portando via il tutto
e lasciando qui soltanto, l’inutile resto.
Tutto è immobile, fermo, impassibile,
eppure lì fuori c’è un rumore assordante, un gran chiacchiericcio.
La gente sorride, ci parla, ci abbraccia,
ma niente ci smuove.
Tutto inesorabilmente tace e scorre senza un presente. Figuriamoci un futuro.
E’ solo un brutto incubo - ripeto fra me e me - passerà, niente di tutto questo è vero!
Provo a svegliarmi da questo atavico torpore ma nulla ci appartiene, nemmeno la nostra vita.
Mi sento soffocare, manca l’aria, si stringe la gola, duole il cuore, soffoca lo stomaco, tremo fino ai piedi, piango e il tempo non passa mai.
Ma è già sera e tutto muta e riporta sempre a quell’istante in cui il vento ha soffiato più forte,
tutto si è fermato e la vita ha smesso di sorridere e il nostro cuore di sognare.
Aspettiamo un altro domani e speriamo nella vita che verrà.

[Pensiero estratto dalla scatola di latta di Josè Pascal]
Un mondo a colori

In un precedente post: "l'identità negata", Giovanni Sarrocco esortava Salvatore Pandolfino a disegnare il mondo che lo circonda. Eccolo accontentato. 

Diamo colore al mondo di Salvatore Pandolfino

 Ricordo ancora il tempo in cui anch'io, vestito dalla sfrontatezza dei miei sedici anni, immaginavo di disegnare un mondo ideale. Platone, Moro, Campanella, Bacon e tutti gli altri "utopisti" apparivano ai miei occhi dei principianti rispetto a quanto pensavo di poter fare. Poi, gli stracci della consapevolezza inquinarono la nobiltà di quella immagine e come spesso accade è il mondo che disegna te rendendoti uno sconosciuto in cerca d'identità. Ancora oggi, passati i quaranta e con tanta "roba" alle spalle, ogni tanto mi chiedo ancora: chissà cosa farò da grande?........E questo mi consola.

Il mio pensiero corre inevitabilmente verso una canzone di uno dei miei gruppi preferiti, the Cure. Il pezzo è Spilt milk (latte versato) di cui allego link e traduzione. Buona lettura e buon ascolto. 
Rosario Ciotto
Latte versato
non penso che saprò mai se davvero lo voglio
potrebbe essere perchè non sono sicuro di averlo mai veramente avuto
e immagino che sia forse più facile non pensarci troppo...

una casa una macchina una famiglia e gli amici
già tutto inteso per dare un senso alle conclusioni

ma qualche volta... io mi domando...
nel retro della mia mente
qualche volta... io mi domando...
se sto sprecando tutto il mio tempo
qualche volta... io mi domando...
se sto rinviando la mia vera vita...

cosa potrei aver fatto, dove potrei esser stato
quando avrei dovuto andare,
perchè avrei dovuto vedere
chi avrei amato, come avrei sognato
e se è sempre sempre troppo tardi...

non penso che saprò mai di averlo
sempre avuto bisogno
potrebbe essere perchè non sono sicuro di averlo mai veramente provato
e penso che sia forse più facile immaginare che veramente lo intendevo...

una casa! una macchina! una famiglia e gli amici!
già tutto inteso per dare un senso alle conclusioni

ma qualche volta... io mi domando...

una ragazza! un sorriso! una vacanza e sesso!
già tutto quel che ci vuole per dar senso al resto

ma qualche volta... io mi domando...
nel retro della mia mente
qualche volta... io mi domando...
se sto ammazzando tutto il mio tempo
qualche volta... io mi domando...
se sto rinunciando alla mia vera vita...

cosa potrei aver fatto, dove potrei esser stato
quando avrei dovuto andare,
perchè avrei dovuto vedere
chi avrei amato, come avrei sognato
e se è sempre, sempre troppo tardi...

e ogni giorno che trascuro
è un giorno in più che non tenterò mai
di spaccare il mondo
di costruirmi il mio destino
e con ogni giorno che lascio passare
è un giorno in meno che non saprò mai
se è sempre
sempre troppo tardi...
Pulizie di primavera

 Vignetta tratta dal sito http://www.ilpeggio.com/

Dopo l’indigestione dell’antipasto esotico a base di bunga bunga e un primo piatto di cucina tecnico – molecolare degno del miglior Ferran Adria, il tutto innaffiato da spread secco ghiacciato, ecco che il magna magna della politica, come secondo piatto, ci serve la trota affumicata. Come un fulmine a ciel sereno arriva, infatti, la notizia, che impietosa echeggia dai tg delle 20.00, circa le dimissioni del segretario della lega nord a causa delle voci tendenziose secondo cui avrebbe usato i soldi del partito per:

  1.   Ristrutturare la sua umile dimora
  2.    Pagare le cure mediche per la sua malattia e conseguente riabilitazione di qualche anno fa
  3.   Comprare diploma e altra carta straccia per il suo amato figlio

A sciagura altra sciagura: anche Renzo, con il solito italiano impeccabile che lo contraddistingue, ha dichiarato davanti ai microfoni che con un passo indietro dettato dalla sua coscienza e dalla venerazione che nutre per il partito si dimette da consigliere regionale. Il padre peraltro ha giustificato tale atto estremo affermando che era da qualche mese che il figlio gli confidava tremante: “Papà non ce la faccio più a fare il consigliere regionale”.  E come non capirlo povero trota: uno stipendio da fame, la mattina sveglia alle 4, ore e ore di viaggio per giungere sul luogo di lavoro…un lavoro estenuante peraltro!
Ma forse ciò che pesava di più al pesce fuor d’acqua erano quei mille euro al giorno che il suo autista-bancomat gli elargiva spontaneamente ogni giorno prelevandoli dalla cassa del partito. Soldi che usava per le piccole spese quotidiane. D’altronde si sa che il costo della vita è aumentato. Quale venticinquenne non dispone di questi pochi spicci per le esigenze giovanili: una ricarica telefonica, una birretta con gli amici, un pelouche alla fidanzata e i mille euro … PUFF… svaniti!
Non pago del momento critico che sta vivendo la famiglia Bossi, ieri sera, durante il raduno dell’orgoglio leghista tenutosi a Bergamo, il senatore Umberto, ha dato vita ad un penoso tentativo di discolpa secondo cui sarebbe in atto un complotto nei confronti della lega e del suo principale rappresentante! Malgrado la sua salute cagionevole ha, poi, tentato una scalata sugli specchi dichiarando la vergogna di vedere il suo cognome gettato nel fango a causa delle riprese che mostrano il figlio intascare il denaro del partito. La risata è d’obbligo e persino i leghisti hanno fischiato queste affermazioni! Forse si vergognava del fatto che erano solo mille euro? Mentre il trota comprava giocattoli, il suo abile padre sistemava l’appartamento (e chissà cos’altro)!
E adesso l’integerrimo Maroni al grido di “Pulizia pulizia pulizia!!!” si accinge a prendere il posto del senatur, in modo ufficiale a giugno, quando, anticipando i tempi, ci saranno le nuove elezioni e una rinnovata lega, probabilmente più moderata, inizierà a prendere piede nella coalizione di turno. E si, perché nel momento in cui l’effetto capro espiatorio avrà lasciato solo una scia di polvere che ci scotoleremo dalle giacche con la solita nonchalance  che contraddistingue gli italiani e la loro politica, ecco che accostamenti di sigle di partito impensabili fino ad un attimo prima, diventano l’alleanza più naturale al mondo. Lo sporco gioco della politica avrà fatto ancora una volta il suo corso: diventato inutilizzabile o scomodo un personaggio lo si lascia scivolare comodamente dal ventesimo piano fino a sentire lo schianto più o meno fragoroso.
E così il partito promotore di tante iniziative anticostituzionali fra riti scaramantici, cerimonie per accaparrarsi le benevolenze del fiume Po e denunce contro una Roma ladrona ed un sud fannullone tutto a carico delle formichine settentrionali, ha pronta la propria ristrutturazione interna…speriamo di non dover pagare anche questa!
Alessandro Ponte



 Lo still life secondo Giuliagas

Profumo d'autunno

Il termine “still life” nel campo della fotografia viene usato per descrivere la tecnica fotografica che ritrae qualsiasi oggetto inanimato. In effetti è la trasposizione in chiave moderna della classica “natura morta” che sicuramente tutti abbiamo visto nei quadri di famosi pittori. Oggi lo still life viene usato maggiormente per fini pubblicitari anche perché “l’appassionato di fotografia” è più attratto da istantanee, paesaggi e ritratti. Lo still life racchiude in sè poche ma importanti cose: tecnica fotografica, sperimentazione, composizione artistico-creativa e armonia.
Per ottenere un buon still life è importante conoscere l’utilizzo ed il dosaggio della luce, sia essa naturale, sia artificiale (flash, spot, lampade, ecc) per usare alla stessa maniera luci ed ombre; ed infine si può avere un valido aiuto, per il post produzione, il conoscere un buon programma di fotoritocco.
Lo still life è un approccio molto particolare ed affascinante con la fotografia e comporta lo sviluppo di una sensibilità e di una capacità particolare nell’accostamento degli oggetti che si vanno ad inserire in un contesto, lo sfondo, che deve essere coerente, ma non invadente.
Insomma io paragono questa tecnica fotografica ad una specie di sfida con se stessi e le proprie capacità e gli strumenti che si hanno a disposizione, spesso creati sul momento. Ciò che fa veramente la differenza è l’illuminazione, non tutti vedono questa connessione fino a quando non viene messa in evidenza. Qui di seguito spiegherò due differenti illuminazioni utilizzando allo scopo due mie foto.
 La foto “profumo d’autunno”, proposta sopra, è stata  prodotta utilizzando una doppia illuminazione: uno spot che illumina l’oggetto dall’alto ed una luce che proviene da destra, per lasciare in ombra la parte sinistra dell’immagine e creare dei forti contrasti. La scelta della composizione del set è totalmente differente dalla prossima; come si può notare i colori utilizzati per lo sfondo sono molto forti, ma si fondono in piena armonia tanto da far pensare più ad un quadro piuttosto che ad una foto, da qui anche la scelta di creare una cornice.

Vaso antico
La foto dal titolo “vaso antico” invece è stata prodotta utilizzando una luce naturale molto forte proveniente dalla finestra e filtrata da una tenda per avere un effetto “diffusore”, perché come si può notare non abbiamo ombre o forti contrasti. Dal punto di vista della composizione notare l’accostamento dei colori molto tenui; la naturalezza del posizionamento dei fiori ed infine la scelta come sfondo di un muro neutro che aiuta ulteriormente ad illuminare uniformemente il set.
                                                                                                                                      Giulia Gasparro
L'Italia in bianco e nero




Sbarcan sull’isola gli uomini neri,
cercan la pace e la libertà,
triste è la sorte per gli stranieri,
trovan uno stato che ospitarli non sa.

La storia ci insegna che abbiam poca memoria
e l’unità una chimera sarà,
per una nazione che non ricorda la gloria,
triste è la sorte che la attenderà.

Danzan burattini dentro l’arena
e lo spettacolo pietoso si presenterà,
pensa la gente che assiste alla scena,
triste è la sorte che male ci fa.

Strana è la sorte di questa nazione,
che gioie e dolori da sempre ci da,
di mille colori è il suo balcone
ogni speranza mai tramonterà.

Raccontan le storie gli anziani ai bambini,
tramandan memorie che tesoro saran,
lavoran artigiani con i contadini,
ricchezza più grande mai si vedrà.

Pulsano i cuori delle formiche,
una voce si spande fra agri e città,
sbucan dai fori e dalle stradine,
un urlo accorato reclama Unità.

Poesia estratta dalla "scatola di latta"
di Josè Pascal





Fra le molteplici attività che svolgo, la più "dura" è senz'altro quella di formatore di giovani che optano per percorsi alternativi a quelli canonico-scolastici. Non mi dilungo in retoriche demagogiche alla ricerca di facili consensi, voglio solo presentare una creazione di uno di questi ragazzi a mio avviso degna di nota. Alla maniera dei writer, Salvatore rappresenta la voglia di ESSERE un individuo e non una sbiadita immagine in un contesto, la nostra società, che ritaglia sempre meno opportunità per questi ragazzi che si apprestano a vivere la loro avventura  in un ambiente che oggi definire ostile appare eufemistico. 
Associo all'immagine un pezzo di un altro collaboratore del blog, Alessandro Ponte, che la incornicia  in una sottile riflessione.  R.C.

L'identità negata

"Autodeterminazione" di Salvatore Pandolfino


I giovani, per definizione risorsa e speranza di un futuro migliore, vivono, oggi più che mai, uno dei momenti più drammaticamente bui della storia. Privi di ogni possibilità, derubati di quei sogni che ogni generazione ha coltivato, vivono la loro naturale condizione di spensieratezza geneticamente modificata tramutata in apatica indifferenza per un presente approssimativo che apre le porte ad un futuro di sicura incertezza e precarietà. Quella crescita che i giovani assicurano alle vecchie generazioni, quel passaggio di testimone in una staffetta che per secoli ha cadenzato il naturale ritmo storico – sociologico ha subito una brusca frenata creando una frattura incolmabile sul ponte del futuro. La società moderna non fa altro che acuire le disuguaglianze alla faccia di una tanto propagandata meritocrazia, la cui sede naturale è rimasta, forse ancora per poco, soltanto un’anonima pagina di vocabolario. Cosa resta da fare a quei giovani che hanno dovuto ipotecare se stessi in nome di un’assurda legge governativa antisviluppo promossa da una classe dirigente ultracentenaria lontana anni luce dal senso dialogico – educativo che sta alla base di qualsiasi rapporto fra generazioni? La risposta sembra essere racchiusa nell’immagine di Salvatore: disegnare se stessi per creare un’identità che nessuno contribuisce a strutturare, inventarsi ogni giorno per costruire delle basi che possano assicurare quella noiosa stabilità lavorativa che non è più di moda.
Alessandro Ponte




 La landa settentrionale

Mario Schifano

La televisione vomitava teschi con cervello sanguinante, la materia usciva grigia e scorreva lungo le pareti di una schiena morata. Il fumo aveva invaso tutta la stanza, sembrava quasi una nebbia, ma la nebbia si può respirare, invece, quel fumo procurava malessere. Sentivo le mie budella attorno alla mia gola, non potevo più resistere, così gridai:
“Spegnilo, ti prego, spegnilo!”
“Perché dovrei? questa televisione è così avvincente, non posso resistere un attimo senza. È il nostro intrattenimento serale, dobbiamo godercelo fino alla fine!”
Anche se mi infilai nel mio letto sentivo ugualmente quelle voci, ma soprattutto sentivo quell’odore insopportabile di morte e sangue, che aveva invaso tutta la casa. Neanche aver chiuso ermeticamente la porta mi consentì di evitare l’entrata in atto delle forze della televisione. Niente poteva fermare la macchina che il Nostro Dominio aveva inventato per noi; neanche Loro erano sicuri di poterlo controllare, in fondo era lei che ci controllava e ci trasmetteva i suoi messaggi.
La mattina in ufficio tutti mi parlavano di come era stato bello il film sulla ricerca umana. Dissi a tutti la mia opinione e fui scambiata per un’eretica così come  Giordano Bruno o Galileo Galilei. Mi aspettavo che da un momento all’altro qualcuno mi presentasse la forca o un rovo scintillante che aspettava soltanto di bruciare carne viva e giovane.
Al solo pensiero ebbi un brivido. Invece quella mattina, nonostante tutto, passò tranquilla; talvolta avevo dei flash che mi ripresentavano le immagini di tutti i film che avevo visto nell’ultima settimana, ma era solo un attimo e per fortuna passava subito.
Alla mensa incontrai una mia vecchia amica. Decidemmo di consumare insieme il rancio.
“Come stai? Ti trovo in forma” le dissi.
“Si, sto proprio bene tra qualche giorno ci daranno il nostro bambino o addirittura due, sono già sei anni che siamo in lista.”
“Sono felice per te: Ma perché li avete richiesti, non sarebbe stato meglio farli crescere nel Pubblico Dominio Infantile?”
“Volevo tenermi occupata, perché il mese prossimo perderò il lavoro, come progettato da tempo, e poi senza far nulla non riesco a stare, così Arthur ed io abbiamo pensato alla soluzione bambini.”
“Noi, invece, partiremo presto per le Lande Settentrionali. È il nostro periodo di vacanza, sono già tre anni che non ci danno una pausa lunga e non stiamo più nella pelle, parliamo solo del mitico giorno ovvero martedì prossimo.”
“Allora tra meno di due giorni partirete”. Appena finì di parlare suonò la sirena, la pausa pranzo era terminata, ci salutammo velocemente:
“Allora, buon viaggio, Claire non dimenticare di salutarmi George.”
“Grazie Louise e tanti auguri, salutami Arthur.”
Ognuno tornò al proprio lavoro abbastanza velocemente. In realtà non pensavo affatto al nostro viaggio, ma da quando ne avevo parlato alla mia amica mi sembrò che potesse veramente aiutarmi ad evadere.
George era già a casa quando tornai. Mi accolse, come sempre, con un bel bacio. La televisione era naturalmente accesa, ma in quell’attimo non mi diede fastidio.
“George, programmiamo il nostro viaggio!” dissi tutta euforica.
“Claire, cosa ti succede sei tutta rossa e poi cosa dobbiamo programmare, è tutto programmato. Dobbiamo soltanto farci trovare puntuali all’aeroporto e poi tutto sarà fatto.”
“E noi? Noi non possiamo decidere niente?”
“Abbiamo già deciso di andare alle Lande Settentrionali, mi sembra abbastanza, non credi?”
“No, non credo.”
Ero abbastanza in collera con George, ma sapevo che la colpa non era la sua, non poteva essere la sua se gli era completamente sparita la fantasia. Avevo deciso di fargliela riacquistare, ma il mio problema era: come? In me c’era come una scintilla che aveva messo in atto una sorta di rivoluzione.
Finalmente il martedì arrivò, mi sentivo come se quel viaggio dovesse cambiare le nostre vite, ma soprattutto speravo che fosse così. Non ero mai andata così lontano, almeno così mi pareva di ricordare e di certo era il viaggio più lungo che il Nostro Dominio ci concedeva. Avevo visto solo poche metropoli vicino la mia e le Lande costituivano un emisfero molto lontano quasi inesplorato e per lo più privo dei più sofisticati meccanismi che il Nostro Dominio ci aveva donato.
Le Lande erano rimaste ‘vergini’ solo per soddisfare noi popolo super - civilizzato e per appagare il nostro istinto selvaggio, in realtà quasi scomparso, in fondo quasi a dimostrare l’inefficienza di quella vita primordiale.
“Volete la stanza con o senza televisore?” ci chiese gentilmente il responsabile al nostro arrivo in albergo... (la fine della storia sarà pubblicata la settimana prossima. Vi aspettiamo)
Claudia Cozzucoli
La landa settentrionale - seconda parte- 

Mario Schifano -senza titolo-

“Volete la stanza con o senza televisore?” ci chiese gentilmente il responsabile al nostro arrivo in albergo. Precedendo George dissi velocemente:
“No, grazie, ma siamo in vacanza. Ci piacerebbe rimanere un po’ tranquilli.” Il signore rimase sorpreso della mia intemperanza, ma non avrei sopportato la presenza di quella macchina infernale neanche per un minuto. anche George era sorpreso, ma non battè ciglio e mi accontentò con un segno di approvazione.
La nostra camera non era molto grande, ma il legno la rendeva confortevole. Amavo il legno. In città non se ne vedeva molto era troppo pregiato e costoso per poterlo avere in casa. Il Dominio ci aveva detto che la plastica era un buon sostituto del legno e poi negli ultimi trent’anni erano riusciti anche a produrre la plastica odorosa, così ti sembrava di essere in un bosco, quando invece stavi seduto in mezzo ai computer.
Non avevamo visto nulla delle Lande perché al nostro arrivo era già notte, quindi dopo un bagno caldo ed una cena con panini caldi, ci infilammo dentro il letto e prima di augurarci la buonanotte sentimmo bussare alla porta. George si alzò mal volentieri, ma con il sorriso sulle labbra, che non perdeva mai, chiese:
“Chi è?”
“Qui è il servizio del Nostro Dominio”
“Si, dica pure…”
“Oggi avete dimenticato di prendere il vostro programma, qui comunque vi ho portato una copia.”
“Grazie tante e buonanotte!”
“Buonanotte signor Grey.”
Avevo sentito tutto, così George si risparmiò di ripetere ciò che era successo. Ero abbastanza innervosita, ma per non guastare la serata non dissi nulla, avevo rimandato la ‘mia rivoluzione’ al giorno dopo.
George si avvicinò e mi baciò. Lo guardai dolcemente e gli chiesi gentilmente di spegnere la luce.
La luce del sole ci svegliò abbracciati. Stavolta diedi io un bacio al mio George; ci stirammo in silenzio e quando sbadigliammo contemporaneamente scoppiammo a ridere così forte che qualcuno bussò alle pareti per rimproverarci.
George mi mise una mano sulla bocca, prevedendo che avrei riso più forte, ci rotolammo ancora un po’ fra le lenzuola e appena ci appisolammo nuovamente sentimmo suonare al sveglia che designava l’adunata per la prima spedizione del gruppo.
Non mi lamentai per niente ed ancora una volta stupii George. Credo che pensasse ad un mio subitaneo rasserenamento e questo mi rendeva le cose più facili. Il primo giorno trascorse tranquillamente, me resi conto quanto fosse bello quel pezzo di terra ‘vergine’ era piena di alberi e il profumo del legno, quello vero non aveva nulla a che vedere con la plastica profumata. Le essenze vere mi rimasero così dentro che non potevo dimenticarle, vidi per la prima volta una fragola, ma non potei toccarla o mangiarla perché era vietato, ma ne sentivo il suo profumo intenso.

“George, oggi è stato bellissimo. I fiori, i frutti,, ma soprattutto gli alberi, quanti alberi veri.”
“Claire, era tanto che non ti vedevo così allegra, sono felice di essere venuto con te e di non aver prediletto le vacanze brevi di ogni anno.”
Mi strinse forte e lo sentii vicino, che quasi mi fece male quella pressione, mi accorsi come ero legata alla sua figura, quasi una dipendenza. Nel nostro governo erano vietate le dipendenze tranne ovviamente la teledipendenza.
“Visto che pace senza tele!”
“Claire non vorrai cominciare di nuovo con questa storia del rifiuto del sistema. Senza sistema, ricorda, che siamo perduti o meglio senza sistema non esistiamo.”
“Non volevo rovinare tutto, scusami. Usciamo per una passeggiata nei dintorni?”
“Non possiamo non è previsto dal programma. Ma non sei stanca?”
“Questo sistema è così bello che non possiamo neanche passeggiare!”
“Non gridare, vuoi guai per caso?!”
Mi infilai la giacca ed aprii la porta, sapevo che mi avrebbe seguita, mi amava troppo per non farlo. Correvo così veloce che non mi sentivo più le gambe. George non poteva gridare, altrimenti ci avrebbero fermati, poteva solo correre e non perdermi di vista. Le mie gambe stavano cedendo e proprio in quel momento George mi raggiunse, mi stampò contro una parte, i suoi occhi sprizzavano fuoco.
“Ma sei diventata pazza?”
“Scappare così, vuoi che tutto finisca in un attimo?”
“È bello correre. Ho visto una casetta nel bosco, andiamo a dormire là stanotte?”
“Perché dovremmo?”
“Per rischiare un po’…dimostreremo che non possono sempre controllarci, possiamo riprendere, anzi diventare una nuova specie, senza che nessuno un giorno voglia salvare la pelle di un altro. Senza Cristi, senza Allah e senza Domini.”
George mi diede un bel bacio. Quel bacio mi ricordò che non potevamo procreare, il Dominio si era preso anche quel dovere.
“Andiamo a casa, sono stanca di questo viaggio.”
“…e la tua vita fantastica?”
“….forse un giorno, ma non noi.”
In realtà pensavo che un giorno sarebbero riusciti ad uccidere pure la Landa settentrionale.
FINE

Claudia Cozzucoli





Seduta DON di Barbara Basile 

Il primo oggetto di design non mio, ospitato in C8LINE, lo "sento" quasi mi appartenesse poichè l'ho visto nascere e svilupparsi.  E' il frutto dello studio di una giovane collega che stimo per la serietà, la competenza e l'impegno che profonde nella sua attività. E' fondamentale trovare persone con cui risulta facile dialogare perchè istintivamente ricettive e vivaci intellettualmente: Barbara è una di queste e quindi sono lieto di proporre questa seduta dal segno sobrio ed accattivante che "promette" inoltre un'ottima accoglienza per quanti volessero saggiare la sua muta affabilità amplificata dal leggero dondolio organico.   R.C.




Vicino c'è la pioggia

Ho il piacere di pubblicare, oggi, il racconto di un'amica che in poche righe riesce a dipingere un quadro particolarmente descrittivo di sensazioni ed emozioni di una "normale" vita a due. [R.C.]


I vetri  di quella stanza erano completamente bianchi, non potevo scorgere neanche il minimo movimento delle foglie di quel grande albero, che era cresciuto secoli prima nel giardino.
Mi chiedevo perché avessi voluto pitturare anche i vetri, non sapevo mai se fuori c’era il sole, che splendeva o se il cielo era coperto. Sapevo solo quando pioveva. La pioggia si fa sempre riconoscere, batte contro i vetri e ti dice che è lì. Così ogni qualvolta sentivo la pioggia, saltavo dalla mia sedia e correvo giù per le scale fino a raggiungere il grande portone e da una finestrella posta in alto scorgevo e sentivo l’acqua battere la strada. Osservavo, in punta di piedi, i rivoli d’acqua che man mano si formavano e che pian piano invadevano la terra mi piaceva pensare, che in quel momento tutti i rivoli si incontravano e formavano un grande fiume, che poteva trasportarmi ovunque avessi voluto, ma vedevo solo piccoli fiumi di piccola portata niente che mi facesse presagire a qualcosa di grandioso.
Un giorno mi incontrasti sulla soglia di casa con un grande punto interrogativo sul viso, mi guardasti e quasi rimproverandomi, prendesti la mia mano e senza dir nulla salimmo le scale.
Avevo lasciato la porta di casa socchiusa perché non sapevo quanto sarebbe durata la pioggia, pensavo di assentarmi per pochi minuti quando in realtà erano passate quasi due ore.
Il tuo sguardo interrogativo mi faceva rabbia non sapevo cosa pensassi di me, forse credevi che ero completamente pazza, ma questo non mi importava volevo solo che mi dicessi qualcosa.
Misi su un bel disco, mentre sentivo che stavi componendo un numero telefonico. Volevo sapere chi era, ma ogni mia intromissione nella ‘tua’ vita era scambiata per persecuzione.
Aveva smesso di piovere e noi di mangiare. Davanti ad un caffè bollente consumavamo in silenzio le nostre sigarette. Volevo aprire la finestra dai vetri bianchi, ma dimenticavo sempre che avevi fatto in modo che rimanesse sempre chiusa. Il disco suonava la sua penultima canzone ed io sobbalzando dalla sedia, andai ad infilarmi un maglione , anche se tutte le finestre erano ‘murate’ sentivo freddo forse c’era qualche spiffero che tu non eri riuscito a trovare e a chiudere, ma era solo questione di tempo, un giorno o l’altro saresti riuscito a murare la porta d’ingresso e a fare in modo di entrare da un piccolo forellino.
Non potevo, però, suggerirti questa idea sarei stata una folle avrei frenato la tua micidiale fantasia, non sarei stata buona con te, così come spesso mi rimproveravi.
“Ci vediamo stasera, vado a leggere i giornali, stamattina pioveva, così non sono uscita.”
“Stamattina era più importante ‘guardare’ la pioggia!” era l’ironica battuta che uscì dalla tua bocca insieme ad una nuvola di fumo.
Non risposi, anzi mi allontanai velocemente da quella casa, così di fretta che dimenticai l’ombrello (poteva sempre piovere, pensai).
Le scale erano pulite, ma rotte in alcuni punti e dovevo far attenzione a non cadere, nonostante tutto scesi quasi correndo.
Feci il percorso a piedi. L’aria era gelida. Di tanto in tanto sentivo il rumore delle ruote di qualche autovettura e le rotaie dei tram facevano uno strano stritolio dopo tutta quell’acqua, ma il traffico non era intenso.
Raggiunsi dopo un quarto d’ora la mia meta. Era il solito cafè-pub, dove si possono leggere tutti i giornali che vuoi consumando anche una sola tazza di caffè. Molti si recano qui non soltanto per leggere, ma anche per conoscere qualcuno ed anch’io avevo conosciuto il mio…in realtà non sapevo cos’era per me quell’uomo. Non volevo soffermarmi su questo pensiero ero qui solo per leggere e volevo leggere.
“Un caffè, grazie.”
Mentre sorseggiavo il caffè, sfogliavo le prime pagine del mio quotidiano preferito, ero così attenta nel leggerlo che non mi accorsi neanche che un’orchestrina suonava del rock stonato e voleva imitare i grandi eroi moderni.
Feci una pausa ed accesi una sigaretta, il fumo bianco passava fra le dita e formava ogni tanto un cerchio, cha man mano saliva e diventava più largo e finiva così in alto che alla fine non lo vedevo più, aveva raggiunto la sua meta.
Davanti a me c’era una ragazzetta bionda che accavallava continuamente le gambe, distribuiva sorrisi grandi e dopo qualche minuto aveva ottenuto il successo sperato, infatti un gruppetto di tre ragazzi fecero a gara per offrirle tutte le bibite che desiderava e che avrebbe potuto consumare in una settimana.
Anche la musica si era presa una pausa, pensai di essermi intrattenuta abbastanza: un po’ di giornali li avevo letti e il pensiero della mia casa con le finestre bianche mi attirava, fra me e quelle finestre c’era un rapporto tipico di amor-odio, non so cosa alla fine avrebbe vinto o se sarei stata vinta.
Non conoscevo il mio nemico, ma sapevo che esisteva. Dovevo cercarlo e credevo si trovasse lì.
Dopo aver aperto il portone mi accesi una sigaretta mi piaceva entrare in casa con la sigaretta accesa fra le mani, speravo sempre di trovare qualcuno dentro che osservasse quanto ero brava nell’aprire la porta con le mani impegnate, ma dietro la porta non mi aspettava mai nessuno, meno che mai quella sera.
Accesi la radio, non sopportavo il silenzio assoluto mi faceva venir mal di testa, la mancanza di rumori mi procurava ronzii strani nelle orecchie. Stavo seduta con la sigaretta in mano e guardavo fisso in un angolo della stanza l’unico angolo rimasto vuoto in quella casa.
Aspettai il tuo arrivo, ma mi addormentai. Sognai che fuori pioveva e che finalmente potevo uscire per guardare.
Claudia Cozzucoli


Silenzi di nebbia


 
Vite scivolano lente su un denso fiume di silenzi
Ascolto un’altra notte di velluto dietro una tenda di ricordi
Il fallimento di un viaggio arrivato a metà
privo di meta
smarrito di senso
Avvolta da residui di tramonto
cospargo il mio capo di polvere di cielo
L’attesa del sorriso di un domani solitario
respira viali umidi di nebbia e gelidi passi
Ombre di viandanti si sfiorano la vita
Sguardi spenti e mani fredde  
sulla pancia di un mondo che ha smesso di parlare
 Francesca Rubini


Pensiero a mezzodì di Josè Pascal

La darsena del Salento di Nicola Ricchiuto


Il faro bianco veglia sul mare quieto,
impassibili fichi d’india,
il vento muove energia,
fra gli specchi si riflette il sole,
una barca taglia il confine.

Muretti a secco custodiscono rigogliosi ulivi,
resistono i templi megalitici,
delicate distese di grano,
la vigna matura,
il popolo di formiche lavora e spera.


Estratto dalla scatola di latta



I  colori dell'anima


Foto tratta dal quotidiano online repubblica.it


Mi hanno parlato di viaggi in droghe sintetiche, in acidi, in funghi che portano in mondi e in colori che non ci sono, che non esistevano.
Ma guardando questa foto mi viene da pensare, perchè vedere colori che non ci sono se ancora dobbiamo vedere tutti i colori possibili?
Talvolta il voler andare in un'altra dimensione, da quella vissuta giornalmente, ci fa perdere di vista l'ordinaria bellezza del contorno che i nostri occhi ormai ciechi non ci fanno più vedere.
Alziamo lo sguardo altrove, al cielo, alle stelle, alla luna e alle nuvole.
Abbinerei questa immagine a forbidden colours, se potete concentratevi sul piano di sakamoto e chiudete gli occhi e volate per vedere...
Claudia Cozzucoli


Paralleli confinanti ai tempi della globalizzazione


 
 Coca Cola bottles (1962), Andy Warhol
 

Modernità, tecnologia e globalizzazione: ecco rappresentata la società attuale. Si si!!! Tutto si muove in funzione di queste componenti che hanno reso l’uomo un abitante del cosmo, un essere che vive sul filo delle stelle potendo cogliere tutto quello che gli necessita al solo schioccare delle dita. Niente gli è negato… o almeno questo è ciò che appare, quel che vogliono farci credere. Ma cosa accade veramente quando dobbiamo fare i conti con realtà diverse e nuove dalle quali ci aspettiamo una copia (forse brutta e sbiadita, ma pur sempre copia) del nostro microcosmo? Quel filo di speranza, misto a paura per l’ignoto, viene tagliato pressoché immediatamente allo sbarco nella nuova realtà. I luoghi non si somigliano, le persone non ci somigliano. Lo sguardo è ostile, indifferente; i gesti di palese opportunismo. Possibile che la memoria tradisca a tal punto? Non riconosco odori, suoni, volti. I sentimenti non si globalizzano e basta sporgersi oltre il parallelo di riferimento per affacciarsi su un’estraneità che fa paura, aliena e rende il cuore una pietra ben affilata da scagliare contro l’altro. Certo, a meno che “l’altro” non dovesse rivelarsi una pedina utile. E si, sembrerebbe essere proprio l’utilità il sentimento attorno al quale ruotano molte realtà sociali superficialmente considerate positive per il solo fatto che sanno vendersi molto bene. La pubblicità è l’anima del commercio, ma anche un commercio di anime. Chi meglio sa piazzarsi sul mercato vive, poi, di rendita. Ed ecco che qualche prato curato, una pista ciclabile e poco traffico automobilistico rendono un luogo una meta ambita, fanno aumentare a dismisura il prezzo delle case e della vita, sì da consentirne l’accesso soltanto ai nuovi ricchi, dietro cui si nascondono troppo spesso affari loschi e traffici strani. Ma questo non si dice.
Un giorno, però, entrando per caso in un supermercato a far la spesa, d’improvviso, mi sento quasi bene. Sulle prime non mi rendo conto di cosa sta accadendo, poi realizzo che negozi e marchi sono identici a quelli di “casa mia”, anche nella loro disposizione strategica e allora comprendo amaramente che la sola cosa che “i potenti” vogliono globalizzare è il nostro modo di spendere i soldi. Il lavaggio del cervello che dura da anni, dà i suoi frutti e li fa penzolare davanti ai nostri occhi, ma noi siamo troppo impegnati rendere irreversibile il processo di automazione per reagire e ci facciamo candidamente cullare dal frastuono del centro commerciale di turno.
Inutili esseri dallo sguardo spento che si aggirano come zombie per lunghi corridoi colorati di nulla, lasciando una scia di ignoranza dietro sé da tramandare ai posteri per un’altra generazione di isole infelici. Questo appare il senso del cosmopolitismo universale che sottolinea, in chi è capace di coglierle, differenze evidenti anche in latitudini confinanti che mi pregio di guardare “dal basso”.

Alessandro Ponte



La rivoluzione silenziosa


 Il quarto stato, Pellizza da Volpedo



Nel mondo dell’informazione in tempo reale e del bombardamento mediatico, assistiamo ad uno strano fenomeno per cui ad un’eccessiva sovraesposizione di alcuni fatti che per mesi si impossessano di ogni preziosissimo istante televisivo calamitando la morbosa attenzione di un pubblico in balia di giornalisti con i neuroni in sciopero, si contrappone uno stranissimo silenzio su notizie clamorosamente importanti. Solo in pochi hanno sentito parlare, infatti, di ciò che sta accadendo da circa due anni in Islanda. Nessun telegiornale o testata giornalistica ha dato risonanza ad una rivoluzione più unica che rara che il popolo islandese sta portando avanti nei confronti del proprio governo e degli errori clamorosi che avrebbero voluto far pagare ad ogni cittadino. Ma andiamo ai fatti.
L’Islanda, piccolissima isoletta parcheggiata lontana dal vecchio continente, apparentemente “innocua” ai fini dell’economia, ha conservato un reddito procapite fra i più alti al mondo fino al 2007, quando a causa della privatizzazione delle banche e successive manovre sbagliate, la situazione cominciò a precipitare inesorabilmente.
Una situazione economica già drammatica, subisce il colpo di grazia a causa della crisi dei mercati finanziari del 2008 e la “dimensione” molto piccola anticipa quanto avverrà in seguito nel vecchio continente, che porterà alla nazionalizzazione dei più importanti istituti bancari del paese. La moneta crolla e la Borsa sospende tutte le attività. L’Islanda viene dichiarata ufficialmente in bancarotta. Dimissioni, elezioni anticipate e tutto l’iter che normalmente una nazione civile segue in casi di una siffatta gravità. Il popolo scende in piazza per quattordici settimane, assedia il parlamento, costringendo con la PACE il governo conservatore a dimettersi. Il nuovo Parlamento composto da nuove menti geniali costantemente al lavoro, da figli della democrazia e della res pubblica, partorisce la brillante l’unica via possibile che potesse risollevare la questione. Far pagare al popolo una tassa extra di 100 euro mensili per 15 anni, sì da garantire il reintegro del debito. Facile, no?! I cittadini pagando appena 18 mila euro, quindi, avrebbero riparato i madornali errori degli speculatori privati. Fu allora che la rivoluzione silenziosa entrò nel vivo. Un referendum vinto con il 93% dei voti contrari a pagare il debito, malgrado il ricatto psicologico indotto da Olanda e Inghilterra (principali reintegratori del debito in prima istanza) che minacciavano di isolamento totale che avrebbe ridotto l’Islanda ad una sorta di reietta del Mare d’Europa Settentrionale.
Il governo finalmente decide di mettere sotto inchiesta i veri responsabili della debacle che in successione e braccati dall’interpol fuggono dal paese. La rivoluzione è fatta ed il popolo iniziò a scrivere una nuova costituzione, una costituzione partecipata su internet in modo da consentire a tutti di avanzare proposte e condividerne la stesura. Altro che segretezza! Altro che violenza e spargimento di sangue!
Il popolo islandese ha dato al mondo una lezione di educazione civica di straordinario esempio, applicando alla lettera l’art. 1 della nostra costituzione secondo cui “…la sovranità appartiene al popolo…”
Una frase dalla forza dirompente e dalle conseguenze inimmaginabili nella sua applicazione per gli appartenenti a quella elite di giacche a doppio petto inamidate, incartapecorite e ghignanti come il peggiore dei signor Burns, proprietario ultracentenario della centrale nucleare di Springfield.
Come mai nessuna eco è stata data ad una notizia così rivoluzionaria e significativa , non soltanto da un punto di vista prettamente economico, ma anche umano e civile?
Meglio non far passare una notizia che possa svegliare altri dal torpore atavico, far abbandonare la posizione prona in cui siamo ingessati da anni, e vestire i panni di una rivoluzione silenziosa o no che sia?!
Molto meglio farsi tenere al caldo le sinapsi da reality e signorine sculettanti che ci fanno dimenticare ogni problema reale!
Meno male che internet c’è!!!

Alessandro Ponte

Stelle a metà





La terra tremò
e la vita spezzo,
la casa crollò
e il tempo fermò.

Silenzio e parole
non riempiono il cuore,
sorrisi spezzati
mai più ritrovati.

Danzan nel cielo
quelle stelle a metà,
giù dalla terra
ci son mamma e papà.

Ricercan la pace
quegli occhi di brace,
la ferita nel cuore
e tanto dolore.

Ogni giorno ci penso
ed è sempre un tormento.

Scritto da Josè Pascal
estratto dalla scatola di latta


Vento d'autunno nell'anima


Anime ci sfiorano nel loro passaggio lasciando una scia di ricordi futuri
Vite di altri che sfuggono alla profondità di un pensiero vacuo
Il vento porta via quel po’ di noi che era rimasto attaccato addosso
Nell’aria  polvere lieve, impalpabile, eterea
Un dialogo a due voci che si rincorrono nell’universo trafitto di stelle
Lo scrigno del cuore corroso dalla salsedine del pianto
si schiude al nuovo
viaggia in aride terre d’agosto assetate d’acqua e d’amore
Profumo d’inchiostro macchia stanchi polpastrelli di uno scrittore incompreso
Cicatrici sul volto tumefatto
Graffi sul legno
Il mondo riparte da dove si era interrotto
Un nuovo giorno spettina i pensieri spargendoli al prossimo autunno
Soffia sull’anima l’attesa scontrosa e prepotente
Destini svegliati nel momento sbagliato si infrangono in case senza confini con pareti di note e luce
Il sé vaga nell’oblio di immense distese buie
Ho accarezzato in un sogno lontano il suono di un vento caldo del sud svanito alle luci della solita alba

Simona Rivelli



Dalla preistoria a banksy: un'esigenza "comune".  Intervista al writer Nino Martino per cercare di spiegare un mondo notturno.

 

R.C. Il fenomeno dei writer è in costante aumento. A cosa imputi tale crescita?


N.M. L'incremento dei writers e del writing è dovuto ad una maggiore facilità nel reperire informazioni della cultura hip hop e scambio d' informazioni fra b boys, quando ho iniziato io esisteva solo un giornale mensile che trattava della cultura hip hop. Poi penso che la maggior parte lo faccia per moda, pochi si accostano al writing concependolo come forma d' arte o incarnando i principi della cultura hip hop.


R.C. In una città come quella in cui viviamo noi, ci sono maggiori difficoltà a potersi esprimere con questa forma d'arte, piuttosto che le grandi metropoli italiane ed internazionali? Se si quali

N.M. A Messina ci sono maggiori difficoltà in quanto è sempre stato visto come un fenomeno di vandalismo: le scritte inutili, ad esempio, fatte su facciate appena ristrutturate o, ancor peggio, su monumenti; fenomeni, questi,  che non hanno aiutato di certo a vedere il “graffitismo” come una forma di arte metropolitana. Il vero writer non sporca,tende a dare colore a grigiume del cemento.

R.C. Perchè questa forma d’arte è ancora piena di proibizioni e divieti? Se fosse "regolamentata" non ne trarrebbero tutti un giovamento?

N.M. Si, se fosse regolamentata tutti ne trarrebbero giovamento, comunque a Messina le precedenti amministrazioni ci avevano dato alcune aree come San Licandro. Così facendo, però,  si perde quel senso un pò di contestazione fatta in maniera illegale che il pezzo stesso dipinto sul muro vuole comunicare. È molto più eccitante fare un pezzo illegale, ovviamente su muri di aree industriali o dove non si recano danni.

 
R.C. Cosa vorreste chiedete alle istituzioni per venire incontro alle vostre esigenze

N.m: Alle istituzioni potremmo chiedere più spazi, o anche mezzi pubblici come autobus treni, o anche manifestazioni che trattino la street art, per diffondere sempre di più questa cultura ed evitare che ragazzini compiano scempi in aree d'interesse culturale e magari avere anche problemi al livello penale.

 
R.C. Ci sono stati episodi a rischio con le forze dell'ordine?

N.M. Si abbiamo avuto qualche problema con le forze dell'ordine, ma abbiamo trovato degli agenti comprensivi. Una volta avevamo appena finito di dipingere dei vagoni merci, ed uscendo ci siamo trovati una pattuglia della polfer, il poliziotto al suo collega ha detto tranquillo sono i pittori abusivi hanno preso le generalità, rimproverato ma poi ci siamo messi a scherzare. Gli stessi agenti ci hanno preso un'altra volta, ma ormai eravamo amici … hauhauahuahaaa. Non abbiamo mai fatto sporcato  monumenti, né danneggiato bellezze, per questo non ci hanno  fatto nulla. Siamo stati fortunati, altri amici sono stati denunciati.


R.C. Qual è stata la molla che ti ha spinto ad intraprendere questa forma d'arte?

N.M. La molla che mi ha fatto iniziare a dipingere è stata la possibilità di comunicare quello che sentivo con i colori in spazi immensi dove tutti potevano osservare, e nel caso di treni o autobus il mio messaggio poteva essere letto anche al di fuori della città. Comunque ho conosciuto la cultura hip hop attraverso lo skate, me ne sono innamorato ed oramai ne ho fatto una filosofia di vita che condivido ancora oggi con tutti gli amici con i quali ho cominciato a skaitare e dipingere e suonare.  Cultura che si fonda su 4 discipline: writing, mcing, breaking e djing, io mi sono accostato al writing e djing che tutt' ora pratico.



 

Fotografie di Matteo Capodicasa - Terza puntata - "Sguardi e antisguardi"

Altri fotogrammi dell'amico Matteo unite da un file rouge: "lo sguardo". 
Lo sguardo con il quale indaghiamo ciò che ci circonda, lo sguardo del mondo che cerca di scrutarci dentro. L'approccio alla vita è un susseguirsi di donare e ricevere sguardi, la "prima relazione". Sguardi eloquenti, sguardi che mentono........ godiamoci questi. Uomini, animali, cose... tutto nasce da uno sguardo.
Rosario Ciotto

  
Chiamiamo folle chi chiude gli occhi per vedere, e follia il rifiuto di vedere quello che tutti credono di vedere. Verità semmai è questo incurvamento dello sguardo, addirittura un rovesciamento, una cancellazione. E si sarebbe due volte folli se si fosse sordi a questo esercizio di verità.                                                             
  Maurizio Cattelan


  



   Metamorfosi della visione di Lucia Torrente

M


DESIDERIO, stampa digitale su stoffa. 100x70


Altre "potenti" immagini da parte di Lucia Torrente impreziosiscono la poltrona dell'ospite di C8Line. La sua visione della DONNA, "mascherata" ma oltremodo "svelata" in ogni sua sfaccettatura interiore induce ad indagare un universo affascinante e colorato. Le immagini inquietano, affascinano, seducono. La sensibilità di questa artista giovane, ma ormai matura nello stile e nei contenuti, viene rivelata con un' efficacia straordinaria. Aspettando altre perle, un grazie di cuore.
            Rosario Ciotto 


          IMMOBILE INCANTO , acrilico su stoffa. 100x70                                            RIFLESSI, acrilico su stoffa. 100x75



           MUTAZIONI, stampa digitale e acrilico su tela. 100x70                       CONTAMINAZIONI, acrilico su stoffa. 100x75


 La ragazza del giglio



La prima volta che vidi Matilda fu quasi tre anni or sono.
Camminando sul ciglio di una strada io e Faniglio
vedemmo una ragazza che raccoglieva un giglio,
dal balcone di Gina Millecolori,
la proprietaria del Bar Arcobaleno.
Saltellando di qua e di là raggiungemmo in un batter d’occhio la ragazza del giglio,
così la chiamai quando fummo vicino a lei a meno di un millimiglio.
All’inizio i suoi occhi profondamente verdi, da perdersi nell’abisso dell’amore, furono scostanti e indispettiti.
Ma quando i nostri sguardi si incontrarono per un eterno momento fu semplice capire che le nostre vite fluttuanti e senza una meta avevano trovato il rifugio comune,
il compagno di viaggio,
l’anima gemella,
la serenità di vivere insieme la sconosciuta quotidianità.
Il resto della storia sarà il signor Tempo a raccontarcelo.
Fortunatamente da quel giorno, quando vedo i suoi occhi profondamente verdi sospiro,
sorrido e il mio cuore danza festosamente dentro me.
Penso sempre a quella volta in cui Matilda raccoglieva un giglio e la mia vita
era ancora e soltanto un pigro sbadiglio.

Estratto dalla scatola di latta
Josè Pascal



"Storia della mia gente" di Edoardo Nisi vince il premio Strega 2011


Redon Odilon: The Smiling Spider


Storia della mia gente, ma non soltanto, anche uno spaccato di storia attuale che permea in maniera negativa il nostro presente finanziario e sociale. Un racconto, tessuto con molti riferimenti autobiografici, che parla in modo particolare di Prato, città natale dell’autore, che negli ultimi anni ha subito una decapitazione della propria realtà economica fondata sull’industria tessile minata dall’imbecillità dei politici che si sono susseguiti e dalla conseguente invasione del mercato cinese.
Un uomo, Nisi, figlio degli anni ’60 cresciuto a musica, viaggi e lavoro nella fabbrica di famiglia. Una fabbrica con una sua storia risalente alla seconda guerra mondiale, quando, distrutta dai tedeschi, fu ricostruita con quella forza e speranza che l’epoca conosceva bene. Le generazioni si susseguirono giungendo fino a lui che, pur facendo molto bene il proprio mestiere all’interno dell’industria, sognava sempre di essere uno scrittore a tempo pieno. Ma quella vocina chiamata senso del dovere, che proveniva in gran parte dall’insegna “…& figli”, non gli fece mai compiere una scelta, finchè quella scelta si compì da sola proprio a causa della crisi economica che investì il mercato dell’industria tessile. La chiusura fu un passo obbligato, un disastro paragonato, nel libro, al terribile evento delle torri gemelle quando gli occupanti i vari piani vennero tenuti fermi ai propri posti da una sconosciuta voce che proveniva dall’interfono. Una voce che tranquillizzava e raccomandava di non muoversi, di non scappare dalle scale perché era da lì che sarebbero arrivati i soccorsi e mentre la voce tranquillizzava, la gente moriva. Allo stesso modo mentre una voce (questa volta ben nota) ci dice che siamo fuori dalla crisi, i licenziamenti imperano, i posti di lavoro si dimezzano, l’economia va a rotoli. Licenziati di ogni età anche ad un passo dalla pensione, come Fabio, uomo dignitoso e umile descritto nel libro che inventa attività alternative per trascorrere le giornate e che la sera non riesce neanche a stare davanti alla tv, perché non deve riposarsi da nulla. 
Vite distrutte da scelte sbagliate di chi non è mai stato interessato al destino dell’uomo medio, al benessere di quella fetta di Italia che, tra mille sacrifici, fa quadrare i bilanci di tutti. Quell’Italia che, nella parte del libro che preferisco, l’autore sogna possa riprendersi grazie alla cultura: libri, quadri, musica, film e moda tutti protesi a rimarginare quelle tremende falle economiche, sociali e culturali che in questi anni sono diventate sempre più profonde. Una ricerca del bello che unisca gli animi tracciando una strada opposta a quella che oggi è permeata da denaro e potere. Un quadro così incantevole che persino una bambina, la figlia di Nisi, vedrebbe bene come idea per il prossimo libro del padre.  
Perché la ricchezza interiore inespressa vale poco, poco più di nulla e tutto quello che non si riesce a dire e a scrivere e a vivere è perduto, polvere.[1]
Non ho letto gli altri libri finalisti, per cui non posso fare un paragone, ma non riesco a capire dal profondo le ragioni che hanno portato i giurati a premiare questo libro che, oltre a mostrare in modo sincero un quadro di drammatica attualità, non trovo paragonabile a premi strega quali Flaiano, Eco, Moravia, Pavese, Palazzeschi (ecc.). Ma forse anche questo fa parte dei cambiamenti che il tempo ci regala.



[1] Edoardo Nesi, Storia della mia gente - Bompiani

Riccardo Borgo



Fotografie di Matteo Capodicasa  -  Seconda puntata "Fotogrammi dalla quiete"








Ecco la seconda puntata dedicata alle foto di Matteo Capodicasa. Ancora una volta la natura, con la sua imponenza, col suo titanismo e con lo stupore che sa suscitare nell'uomo è protagonista di questi scatti. Come non restare incantati davanti ai panorami che l'occhio attento dell'amico fotografo ha saputo realizzare. Spero trasmetteranno anche a Voi le emozioni vibranti di una serenità priva di tempo e confini.
Rosario Ciotto



I tarantati secondo Teresina

Satiro danzante”, bronzo altezza di circa 2,5 metri, periodo ellenistico


 Di retaggio culturale ancestrale, il tarantismo appartiene a tutto il sud d'Italia. Quella  Magna Grecia che ancora, ma purtroppo sempre meno, resta avvinta alle sue tradizioni. Di natura dionisiaca, questa "danza" epilettica e surreale ci lega al mondo degli "spiriti" infondendoci un senso di sgomento, ma nel contempo di liberazione e benessere. L'amico Josè Pascal ci descrive, in maniera eccellente, le memorie di una nonna con desiderio di perpetuazione che invoca alla terra e ai suoi riti.

  
Gli anni ’50 nei paesini del Sud Salento me li hanno solo raccontati. Ai ricordi di mia nonna devo la mia memoria della miseria più nera, di quella quotidianità oggi chiamata folklore e delle tante braccia partite a cercar fortuna.
Mi sembra di vederli i tarantati, puntuali alle soglie di ogni estate, che si dimenano nelle piazze, tra il clamore concitato della gente ed il ritmo serrato dei tamburelli. Quando nonna Teresina ne parla, comincia sempre dicendo: Succedia ca certi cristiani tuttu de paru scuppavane an terra – accadeva che alcune persone all’improvviso stramazzassero a terra posseduti da una forza soprannaturale - anche qui, a Comuncè c’era gente pizzicata da taranta o colpita dai guai de Santu Dunatu.
C’era a CONSIJA SSUNTAMIJIA – persona per mia nonna normalissima – ca passava de sutta i pali de segge, scinnia de scale tutta curcata stisa - che strisciava in maniera scomposta tra le gambe delle sedie, si introduceva nei posti più angusti e scendeva dalle scale distesa - se girava de na vanna e de l’autra, sturcia anterra poi cuntava cu Santu Dunatu - si contorceva con fare frenetico e poi rivolgeva richieste e preghiere a San Donato. C’erane quiddi ca sunavane pizziche cu li passa u male. E poi dopu ure li passava e diventavane normali sti cristiani - spesso per esorcizzare questo male si ricorreva ai tamburellisti, ai suonatori di organetto e fisarmonica, perché una danza scatenata ed estenuante era l’unico modo per liberarsi da questo stato di isteria e tornare in se stessi.

Arrivata a questo punto della sua storia nonna Teresina diventa malinconica e reticente – Basta, sta me sentu fiacca cu le cuntu ste cose – non insisto perché continui il suo racconto. La lascio al suo silenzio. So già che con la mente è tornata a quel torrido pomeriggio di giugno; era ancora bambina e davanti la sua casa saltellava attorno a suo nonno che suonava il tamburello. Non poteva sapere, Teresina, che quel suo ballo spensierato e vivace si sarebbe trasformato in una lotta per la sopravvivenza, circondata dagli zombi della sua infanzia.

Josè Pascal






Metamorfosi della visione

INTERAZIONI, stampa digitale su stoffa. 100x80
“Immagine – camaleonte, bella donna, ma soprattutto donna del suo tempo, accetta tutti gli omaggi e crea ogni tipo di ibridazione. Luogo di passaggio, superficie senza profondità, ebbra di velocità, troppo liscia per lasciarsi turbare da un sentimento, aggressiva nel suo aspetto per nascondere la fragilità della sua essenza, ed infine effimera per definizione. L’immagine è uno specchio e il moltiplicarsi dei suoi riflessi suggerisce il labirinto dello spazio moderno”.   

GROVIGLI, acrilico su stoffa. 100x75
INTRECCI, stampa digitale su tela. 100x70




















Sono passati più di tre decenni dagli esordi sulla scena internazionale di modi di fare e  di pensare l’arte imperniati sull’impiego di strumenti che siamo abituati a chiamare “nuove Tecnologie”. Il video, il computer e le loro molteplici interazioni.
Da allora si sono diffuse nei territori dell’arte le articolazioni di un nuovo linguaggio, carico di ipotesi, problematiche affascinanti, non solo per lo stringersi di un rapporto tra arte e tecnologia, che elimina manualità e procedimenti tradizionali a favore di un fare mentale che implica un’interazione  particolare tra artista e macchina, ma anche e soprattutto per le realizzazioni che ne scaturiscono.
Fondamentale è dunque per l’artista l’attitudine a una sperimentazione in direzioni diverse e ad una continua intesa con i linguaggi elettronici.


SEDUZIONI, stampa digitale su tela. 70x50
 Le opere da me presentate si configurano come “metafore del mutare” sui rapporti presenti all’interno di una comunicazione invasiva, stimolante e stordente sia della natura che della cultura (mutante appunto) in cui siamo immersi.
Una realtà nei cui confronti ci si pone in termini di indagine ed interpretazione, rappresentandola o trasfigurandola, manipolando l’apparenza e l’esperienza, utilizzando e volgendo a significati altri proprio quelle tecnologie multimediali che la caratterizzano.
I dipinti (alcuni non dipinti) mostrano come il mondo digitale possa analizzare in maniera poetica e sensuale (non fredda e asettica) gli eterni temi della pittura.
Protagonista delle opere è appunto il colore, un colore che si trasforma, modellando forme che danno vita a creature di un mondo (quello digitale) dove tutto diventa possibile. Un universo femminile che attraverso mutazioni, ombre e scomposizioni si materializza per celebrare la bellezza misteriosa di un corpo di donna.

CELESTE, stampa digitale su stoffa. 100x80 
Le opere rappresentano anche l’aspetto della metamorfosi femminile in una costante decostruzione del soggetto, uno scorcio umano che viene addizionato e scomposto secondo un procedimento di frammentazione, si arriva così a stravolgere l’immaginario artistico, con il ricorso di una visualizzazione che si allontana dal realismo pittorico rendendola estranea dal mondo organico.
Diventa così una specie di coinvolgimento etico nel mondo in continua trasformazione, all’interno dell’immagine si affaccia così sorprendentemente il volto e lo sguardo del reale trasformato.
Lucia Torrente



Fotografie di Matteo Capodicasa  -  Prima puntata "Fotogrammi dalla quiete" 









"Innanzitutto ringrazio molto l'amico Rosario che gentilmente mi ha offerto la possibilità di quest'esposizione virtuale all'interno del suo blog e che ho accettato molto volentieri. Un pò come succede quando si incontra una persona nuova, ho deciso di proporgli una serie di foto tratte dal mio archivio e che rappresentano differenti argomenti, luci e stili in modo da poter fornire un ritratto abbastanza completo e dettagliato di come io intendo la fotografia.
Mi auguro che il mio impegno, la mia passione, si possa trasformare in interesse per chi le osserva e possa regalare qualche istante di emozione".

Matteo Capodicasa


Ospito oggi con estremo piacere la prima puntata dedicata alle fotografie dell'amico Matteo. Un occhio attento ed un animo sensibile si evidenziano in queste, come nelle foto che vedrete in seguito. La natura, da sempre, è fonte di ispirazione per gli artisti siano essi pittori, poeti o fotografi. Cogliere l'attimo irripetibile è faticoso, ma estremamente gratificante. Spero che questi scatti vi daranno quella serenità che le bellezze della natura sanno donare.
Rosario Ciotto



Luci tra battiti d'ali

 

Occhi illuminano il buio spargendo semi sulla terra profumata
… bagnata  d’autunno.
Dolce pioggia dell’anima e odore di mare s’insinua inebriando l’ultima speranza,
lambisce terre di un domani sconosciuto.
Luccichio nelle strade e foglie di fuoco scaldano corpi avvolti nel quotidiano essere. 
Sguardi pesanti convergono al centro di un metafisico mondo gravitazionale.
Biglie trasparenti da cui guardare l’apparente bisogno distorto di un nulla in vetrina.
Le labbra si muovono,
ma le parole cadono mute senza suono
solo un freddo rumore di metallo
tempera le lame che scavano profili nella roccia aspra.
Sul treno del silenzio anime lambiscono la notte
soggiacendo in stazioni avvolte dalla nebbia di un passato che profuma di antico.
Capelli bianchi come nuvole
viaggiano leggere
sospingono la mente in artificiali paradisi senza confini.
Frammenti di sogno cosparsi di luce
infranti su cuori di roccia
attraversano i sensi tra polvere e memoria.
Luci tra battiti d’ali  
Venti in rivolta sul prato dei ricordi
spettinano il cuore fino alla prossima fermata. 
Philyra


Il gioco secondo Neruda

  Fotografia di Giovanni Sarrocco

«Il bambino che non gioca non è un bambino, ma l'adulto che non gioca ha perso per sempre il bambino che ha dentro di sé.» Pablo Neruda





Messina, città dei piccoli viaggi


La Madonnina del porto posta sulla torre Sant'Anna del forte San Salvatore


Difficilmente è pensabile l’idea di un viaggio all’interno di una stessa città, soprattutto perché non ci riferiamo ad una metropoli. Eppure qui è possibile … potenzialmente, si intenda! In realtà sarebbe possibile se non si facesse di tutto per celare, agli occhi del “viaggiatore” la meta del suo viaggio, massacrando ogni giorno ciò che resta nobile anche solo nella memoria. Una città dalla collocazione geografica eccellente e fortunata che si estende su due mari per circa 70 km di costa, impreziosita dalla verde corona dei suoi magnifici colli e da una eterogeneità naturale unica che ci consente una facile rintracciabilità dei vari microcosmi ambientali.  La storia di quasi tremila anni che ci ha condotti fin qui ha fatto il resto, regalandoci preziose testimonianze monumentali e culturali, molte delle quali, purtroppo, distrutte dalle varie calamità naturali (e non) che l’hanno colpita. Eppure, ogni giorno, paradossalmente, ci ritroviamo a  maledire i nostri natali. Queste fotografie, scattate da Giulia Gasparro, frutto di osservazioni attente e attese della luce ideale, costituiscono, insieme tributo e volontà, quella di una raggiunta consapevolezza, giusto preludio ad un auspicato rilancio.
Rosario Ciotto


Immagini di GiuliaGas

Gruppo scultoreo, originariamente realizzato nel 1557 da G. A. Montorsoli, del quale resta solo la statua di Cariddi (le altre originali si trovano al museo regionale), mentre quelle attuali sono state realizzate da Gregorio Zappalà (il Nettuno) e Letterio Subba (Scilla).


Chiesa SS Annunziata dei Catalani XII secolo


Fontana di Orione, G. A. Montorsoli,1547


Duomo di Messina e Campanile, fondato nel 1197, oggi ampiamente ricostruito





 Regali di nozze per nozze regali



"Quando l'esistenza umana è inautentica, perché dominata dal "Si", l'uomo non parla più né è indotto ad aspirare alla conoscenza: il parlare cede il passo alla "chiacchiera" e la conoscenza viene sostituita dalla "curiosità". Infatti, nel momento in cui cedo al "Si", non parlo più di cose che coscientemente sento mie e di cui voglio parlare con gli altri. Al contrario, "chiacchiero" avvalendomi di modi di pensare comune e tendo a parlare delle cose di cui tutti parlano nel modo in cui tutti ne chiacchierano." 
Martin Heidegger

Il paese va a rotoli: disoccupazione, inflazione, semi dittatura, ma noi da bravi italiani mediocri di cosa ci preoccupiamo? Di quale velo la pura e candida donzella che sposava il bel principino aveva scelto per il giorno più memorabile della sua dorata vita. Non si è parlato d’altro. Quantità di dipendenti (donne) che si connettevano a internet dai cellulari perché non potevano non sapere che forma avesse l’abito della bellissima sposa. Ma certo, come continuare a lavorare con questo terribile dubbio che occupava l’unico neurone dell’impiegatuccia media. E non parliamo poi delle casalinghe in contatto telefonico con le poverine, che hanno avuto la disgrazia di non essere licenziate in tempo per seguire la diretta sui megaschermi,  che con una sorta di tele pettegolezzo in diretta hanno descritto alle povere lavoratrici gli accadimenti con un misero racconto senza immagini in movimento.  Sono episodi che segnano! E io le avrei “segnate” tutte… con un cric, ma ero troppo intenta a riempire il sacchetto in dotazione su ogni aeroplano per dedicarmi a questa piacevolissima attività. E come tralasciare il fondamentale lavoro delle alacri formichine che lavorano per i mass media che facevano a cazzotti per raccontare quanti più dettagli inutili riuscivano a raccattare. Io non ho acceso lo schermo durante il corso dell’intera giornata, ma ovunque si incontrasse gente era il solo argomento degno di parola. Mi danno della cinica, mi dicono che non amo sognare. Beh no, in effetti questo, almeno per me, è un  incubo. Le mie strade oniriche si intersecano, piuttosto, in meandri di democrazia che sfociano in piazze di libertà, lavoro, onestà e pulizia. Scusate se non sogno il velo in pizzo ricamato in cui spero inciamperanno coloro che il cinismo lo praticano ogni giorno spargendo il sale dell’imbecillità sul mondo!

Philyra




Le incomprensioni della scrittura

  Rabarama, "Futuro"



Uno degli eventi che ha rivoluzionato la vita dell’uomo, caratterizzandone la propria identità e la storia è la scrittura. In quanto invenzione umana ha subito, nel corso del tempo, mutazioni e trasformazioni corrispondenti all’evoluzione umana. Siamo passati da timidi segni sulle pareti di caverne poco confortevoli alla tecnologia più avanzata con metodi di scrittura rapida, ma, purtroppo, sempre più fredda e impersonale. Basti pensare agli SMS; a chi non è capitato di ricevere un messaggio di testo fraintendone completamente il senso? Mancando il contatto visivo – uditivo, qualsiasi notizia può prestarsi a interpretazioni diverse a seconda dell’umore, del momento, ecc. Faccenda piuttosto antipatica che apre discussioni e  controversie.
Arriva, a questo punto, il giovane Antonio Mangano che, con un colpo di genio, pensa ad una “scala cromatica dei toni”, facilmente applicabile su internet, così disposta:





Quando assimilerete questa scala cominciate a leggere quello che c’è sotto. Percepire il tono all’istante è una cosa fantastica, è la stessa differenza che passa fra guardare un film normale e un film in 3d. Porto qui sotto un esempio tratto da spezzoni di vari dialoghi dei i figli dell’ottava musa.

(Assalto alla villa) 

Nella villa non c’erano segnali apparenti di vita, le finestre erano tutte chiuse, la piscina e il giardino erano in un leggero stato di  degrado, a quel punto  usammo un microfono a parabola e cominciammo ha captare delle voci, ma erano soltanto televisive. Improvvisamente si sentì: “non me ne fotte un cazzo  se appartiene alla Wolkswagen, la fanno in Italia, ci lavorano italiani, il nome è italiano. E allora,che minchia me ne frega se l’ha comprata un tedesco”.
 “Cosa? Che te ne frega? Quando compri una Lamborghini dai soldi alla Wolkswagen, se compri una Ferrari dai i soldi alla Fiat”.
 “Per me la Ferrari vale dieci, ma la Lamborghini vale dieci e lode, quindi se permetti non me ne fotte cazzo del  tuo stupido nazionalismo,  io mi compro una Lamborghini e  stringo la mano al presidente della Wolkswagen e mando a fanculo quello della Fiat,  che si è fatto scappare un marchio del genere, che rappresenta guadagno sicuro. E poi la Lamborghini ha un altro spirito, un altro carattere. Hanno due simboli che le rappresentano alla perfezione, il cavallino rampante rappresenta qualcosa di bello, sublime, nobile ed elegante. Invece dall’altra parte troviamo un toro furioso che ti dà una sensazione di grinta e potenza paurosa, un simbolo orgoglioso,testardo, con le palle. Proprio come chi creò quest’azienda, la sai la storia della Lamborghini no”?! 
“No dai racconta. Sentiamo questa storia”.
“Ferruccio Lamborghini  nel dopoguerra cominciò a riconvertire i veicoli militari in trattori. Praticamente aveva trovato un oasi nel deserto in pochi anni, diventò ricchissimo e iniziò a comprare macchine sportive. Essendo un ingegnere meccanico ne capiva di motori, difatti un giorno incontrò Enzo Ferrari e cominciò a dare dei consigli su come migliorare una delle sue macchine, mi sembra la Ferrari 250 GT, spazientito Enzo lo mandò a quel paese dicendogli:che vuol saperne di macchine lei che guida trattori, continui a far quelli, alle macchine sportive ci penso io’. Sei mesi dopo venne presentata al salone dell’automobile di Torino la Lamborghini 350 GT.
“Era proprio uno con le palle peccato che …” .
“Avete rotto i coglioni co ste macchine andate a prepararmi la cena, veloci.”
(la punizione della triade ndranghetista)
Portati in un luogo sicuro furono legati e imbavagliati per bene.
“Se volete vivere  restituiteci ciò che è nostro, sappiamo tutto. Mi complimento con chi ha elaborato il piano della sostituzione della farina con la coca”.
Russotto: “chi ci assicura il fatto che vivremo dopo avervi detto il luogo dove si trova la droga?”
Settoro disse infastidito: “il fatto che siamo ancora incappucciati idiota”, ma io ribattei: “non ve lo assicura nessuno, però vi assicuro che se non parlate farete una morte lenta e atroce. Non mettetemi alla prova”.  Ci dissero il posto e noi riferimmo ai due boss, che mandarono nell’immediato degli uomini. Aspettammo un paio d’ore prima che le nostre orecchie udissero la buona notizia, al che io andai dalla triade e dissi: “la droga è tornata a casa. Per sta cazzata voi avete fatto scoppiare una guerra, però so che ammazzandovi non concluderei niente. Ci vuole una punizione esemplare. Russotto, tu da oggi ti chiamerai Mizaru. Scordato, tu invece ti chiamerai Kikazaru.  Foti, tu sarai  Iwazaru”.
“Che significa?” disse Russotto.
“Il tuo nome significa letteralmente non vedere il male. Kikazaru invece significa non sentire il male. L’ultimo invece significa non parlare del male. Per questo motivo tu hai quell’ aggeggio da film porno che ti tiene aperta la bocca: fra poco ti strapperemo la lingua, a te romperemo i timpani e a te bruceremo gli occhi”.
(L’ispettore e il finto barbone)
“ giovanotto perché non vai a oziare da un’altra parte?”
“Chi sei tu per dirmi quello che devo e non devo fare?”
“Io sono un tutore della legge e prima sono stato anche buono, se ti ostini a rimanere qui sarò costretto  ad arrestarti”.
L’ispettore sogghignò tristemente: “hai ragione è un bel paradosso”.
“Dato che questa è una grande ingiustizia perché non mi dai qualche spicciolo così me ne vado a mangiare”
“Semplicemente perché l’hai detto anche tu. Non sei costretto a fare questa vita, vuoi dei soldi? Vattene a lavorare, sai, il lavoro nobilita l’uomo” .
“Hai ragione, il lavoro nobilita l’uomo, ma a mia i nobili mi stannu supra o cazzu”[1].
L’ispettore rise di gusto alla battuta e con mia grande sorpresa mi diede anche qualche spicciolo, poi si congedò augurandomi un ottimo pasto. Io ricambiai e gli promisi una bella sorpresa il mattino seguente.




[1] Eufemisticamente <mi fanno antipatia, cattivo sangue>


Antonio Mangano

 
Verità e menzogna

"La calunnia" S. Botticelli

La menzogna, caposaldo della società di ogni tempo, costituisce, oggi più che mai, un tema attuale e “sul naso” di tutti. Ecco perché “Verità e menzogna” di Nietzsche appare un libro perfetto per coniugare un minimo di cultura (scusate la volgarità!!!) con l’attuale scenario socio – politico che, nostro malgrado, siamo costretti a subire ogni giorno.
Nietzsche è da subito estremamente chiaro: non può esistere la verità conoscitiva che per essere dovrebbe nascere da un dialogo, degno del migliore film di animazione, tra le parole e la realtà. Concetti pensabili filosoficamente, ma non applicabili alla realtà.
La menzogna, settore di esclusiva pertinenza umana, è indispensabile alla sopravvivenza di quegli uomini che, incapaci di lottare e conquistare con mezzi propri, ricorrono a strategie “alternative” per raggiungere e salvaguardare un’inutile conservazione. L’adulazione, l’inganno, la falsità divengono strumenti ideali per occupare quel posto in società che tanto fa gola agli omuncoli di turno disposti a qualsiasi bassezza per ottenerlo e, in seguito, conservarlo.
Il telaio su cui è possibile cucire una falsa identità di se stessi elargendo al mondo un’immagine distortamente dorata di ciò che siamo, si erge sul linguaggio. Un processo lento e invisibile grazie al quale, ad esempio, se un'affermazione viene ripetuta da più parti e condivisa dalle masse, sembrerebbe bastevole per l’assegnazione di veridicità.  È  evidente che non si tratta di un principio sufficiente.
Menzogne camuffate da verità immobili e inconfutabili che costituiscono per molti l’ossatura di un’esistenza statica, sono soltanto creazioni di chi, debole, chiuso e insicuro, non riesce a sostenere cambiamenti del proprio punto di vista e della propria vita.
Nietzsche, attento osservatore della realtà, non elimina il mondo della menzogna a favore di quello della verità, come banalmente saremmo portati a credere, ma li mantiene entrambi, consapevole del fatto che la maggioranza degli esseri umani ha bisogno di falsità per vivere. Sa anche, però, che esiste una minoranza, grazie alla quale l’umanità progredisce, amplia i propri orizzonti e conosce.
La storia dell’uomo, totalmente intessuta di quelle menzogne camuffate da verità, ha visto, nel corso dei secoli, una inimmaginabile quantità di personaggi ed assiomi di siffatta natura. Per Nietzsche l’esempio più eclatante è costituito da tutti quei valori incrollabili, cui l’uomo ha creduto per secoli, che hanno gettato le basi della religione e delle nostre azioni.
Sono gli albori di quel pensiero che condurrà alla magistrale illustrazione dell’oltre uomo, l’unico essere aperto e consapevole di abitare un’illusione per poter sopravvivere, ma lontano dall’appartenenza a stereotipi o schemi rigidi fissati da altri. Dopo un lungo periodo di ricerca, introspezione e solitudine l’oltre uomo, mordendo le sbarre della mediocrità e dell’obbedienza, esce da quella condizione di ignoranza e servilismo per costruire una vita di senso autonoma che conduca al progresso.
Il linguaggio, quindi, con le sue numerosissime menzogne, rappresenta lo strumento umano per eccellenza, di importanza rilevante. Incredibile lungimiranza del grande filosofo! Come negare, infatti, che a farla da padrone sia oggi il linguaggio? Strumenti mass mediali ai vertici della piramide sociale, leader carismatici con capacità oratorio–menzognere competitive, seduttori dell’eloquenza che ipnotizzano milioni di persone convincendole, all’occorrenza, su qualsiasi tema o necessità.
Come difendersi? Probabilmente l’unico mezzo che abbiamo è rappresentato, come sempre, dalla cultura capace di spezzare le catene dell’agire e del pensare e dall’apertura mentale che spalanchi il nostro mondo alla ricerca e all’allontanamento dalla rigidità sclerotica tipica di un popolo suddito ignorante.
Philyra



 Risvegli







Fotografie di Adriana Cannaò

Colori e profumi portati dal vento scirocco schiudono l'anima ammantata di neve. Pronta per un nuovo risveglio, si scioglie lieve nel tepore di raggi assolati. Luci ed ombre scandiscono i battiti di un cuore in pigra ripresa che attende la lenta invasione di un rosso rubino.





 Ode a Martina


"La Divina Commedia illustrata da Salvator Dalì"

 

Quand’Eris lanciò discorde mela,
di fin troiana e divin’ir fautrice
‘ché d’Afrodite la beltà rivela,
Martina, ch'è per me come Beatrice,
ancor non avea veduto luce
‘ché lei dolce e soave ispiratrice
giudizio imperituro a sé conduce.
Ella ch’ha più dell’or dorata chioma,
a paglia d’Afrodite quella riduce.
E Giunon’a fatica rabbia doma:
suo sen che fé canuta la galassia,
ch’è men tondo d’altrui non si perdona.
Son i suoi occhi Zaffir di Russia:
glauchi più dei grandi occhi d’Atena,
presso lei anche la dea s’abbassia.
V’è aurea sezione in ogni vena,
bella più di colei che portò spade:
supera in beltà la grande Elèna.
Due volte è triste Atena Pallàde
che più degl’occhi invidia l’intelletto:
fama d’arte e virtù tosto decade
ché pur se uman ella non ha difetto.
E Martina di mille e mille dotti
più nell’acquisir saper prova diletto;
invero quel ch’ha “gl’elementi” dedotti,
con quei che per un fulcro n’alzo’l mondo
e l’om che per teorem fé alunni rotti,
sagg’ai quali quadro, trilato e tondo
portaron fama e gloria in eterno,
ne’ sepolcri, per il rancor’immondo,
si voltan’e rigirano in alterno
e mesti sono poiché non più vivi:
suo saper di più è per loro scherno.
Per questo e i detti sopra motivi
l’”amor ch’a null’amato amar perdona”
repente inaspettatament’attivi
e come quei ch’amor non abbandona
di cui scrisse Dante con esattezza
fiamma d’amore tuttora m’ustiona.
Prima che d’amor come con bellezza
che cantai con le doti di Martina
m’urge elogiare un poco sua purezza:
ell’è un sublime fior con su la brina
la cui vision ogni buon sentimento
‘spira, d’ogni mal dolce medicina.
Ed io per il suo amor folle divento
l’amo finché’l sol sorge a levante
l’amo e se dico che non l’amo mento
d’amor esponenziale e mai costante,
com quel ch’unì Montecchi e Capuleti,
d’amor cui persin’Iddio è ‘gnorante
non ché gli dei non furon mai concreti
poiché un simile n’han veduto occhi.
Inver se vuoi ch’il mio disio s’acquieti
sai’l com; e se non vorrai ch’io ti tocchi
per sempre bramerò 'l calor d'un bacio.
Giovanni Ciatto


Il mondo dell'arte nel mondo dei giovani

 
 Banksy

L’Arte nel suo significato più esteso, rappresenta qualunque attività umana che porti alla realizzazione di forme creative di espressione estetica, nate da accorgimenti tecnici, abilità innate e norme comportamentali derivate dallo studio o dall’esperienza.
Arte è musica, teatro, danza, cinema e in tutti questi settori l’arte giovanile costituisce un elemento fondamentale. I giovani, sono loro ad avere un rapporto privilegiato con questa affascinante attività umana, sono loro ad aver sempre più voglia di manifestare il proprio mondo interiore, fatto di emozioni e sensazioni, che trovano modo di esplicarsi attraverso le molteplici espressioni di cui l’arte gode. Ma parlando dei giovani e del loro rapporto con l’arte, è senza dubbio d’obbligo considerare come il progresso tecnologico, nell’”era di internet”, abbia influenzato anche il contatto stesso con tutto ciò che riguarda le svariate forme artistiche, al punto da rischiare di alterare l’approccio personale ed il calore dell’incontro, sostituendoli con una comunicazione sicuramente più fredda e distaccata. Di contro, il contributo positivo offerto dai nuovi strumenti di comunicazione è dato dalla possibilità di “visitare”, virtualmente parlando, i musei di tutto il mondo anche se non si ha la possibilità di viaggiare. Così con un semplice click ci ritroviamo al Museo del Louvre, Parigi, ad ammirare la Monna Lisa di Leonardo da Vinci, il Giuramento degli Orazi di Jacques Louis David ed altri capolavori fruibili in modalità tridimensionale.
Tra le tante, tantissime forme artistiche maggiormente diffuse all’interno della cultura giovanile, non può non essere citata anche la cosiddetta Street Art, letteralmente “arte di strada”, conosciuta anche come “arte dei graffiti”, di cui fanno parte quelle rappresentazioni artistiche realizzate nei luoghi pubblici, spesso illegalmente,  con diverse tecniche, come spray, sticker art (il cui messaggio è veicolato da un adesivo), sculture, ecc. Ciò che spinge questi “artisti di strada” ad utilizzare il suolo pubblico come “tela” è la loro visione della città come spazio in cui poter dare libero sfogo alle loro creazioni, per poter esprimere la propria, personalissima arte. Dunque, nonostante i giovani di oggi siano, il più delle volte, tacciati di superficialità, disinteresse e incapacità di rapportarsi al mondo e alla società in maniera adeguata, in questo, come in molti altri casi, vale la cosiddetta frase fatta che recita “Non bisogna fare di tutta l’erba un fascio”, non bisogna cioè generalizzare una condizione per quanto diffusa possa essere. C’è sempre chi ,  fortinatamente, non segue la massa, chi ha in sé valori importanti, chi lotta con armi giuste ed oneste, chi non scende a compromessi, chi crede nel sacrificio, nella giustizia, negli ideali, quelli veri, per i quali lottiamo ogni giorno affinché non vengano mai meno.

Debora Runci




Un bacio




                                                                  Francesco Baracchi



Abbraccio d'eterno
Gioachino Chiesa, "Amanti"




Sorprendimi, notte, con luci di una nuova speranza
Che la grinza nel cielo si spiani d’azzurro
Il suono di prato soffiato dal vento
ondeggi in tersi mattini intrisi di sole
Profumo di pane riscalda le mani
Carezze disciolte nel tempo del mai stupiscono il cuore
Soffice musica
rammenda strappi di anime scucite
si avvolge nell’aroma del mattino appena increspato da fiori e caffè
inonda vite che si sfiorano, si amano…si dicono addio.
Spicchi di luna riflettono taciti accordi
distesi su barche di carta leggera
Guardarsi di spalle
Cercarsi negli occhi
Tenersi per sempre
Rosy


Immagini di Klaus Bondì

Al di là della mente



Equilibrio metafisico



Caleidoscopio frattale in giallo e blu



Immagini realizzate da Klaus Bondì con l'ausilio di software specifici per image editing. 



La verità


Foto di Giuliagas



Ti porto
dentro di me
con rabbia
Dentro di me
ti ho chiusa
come un ricordo
 lontano
Dentro di me
ti porto
 da sempre
Dentro di me
 la tua voce
come musica
lontana
Dentro di me
le tue parole
come una canzone
 mai dimenticata
GiuliaGas






Nel silenzio

Foto di Bobi Diamond



E' nel silenzio
che ogni cosa si rivela

nello sguardo
nel cercarsi delle bocche

nel tenersi delle mani

senza pronunciare
la parola amore

Nel movimento del dare
noi siamo

Francesco Baracchi


 

Bagliori nell’anima

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