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manifesto surrealista di Andrè Breton illustrazione Renè Magritte 1924 |
Ciao amici. Da oggi proverò a dare voce a questo
blog per un periodo, almeno finchè “il grande assente” non tornerà a stupirci
con i suoi lavori che hanno trovato il vostro apprezzamento.
Cercherò di riempire il vuoto attraverso un
percorso a cavallo tra storia dell’arte e psicologia.
Grazie a tutti quelli che vorranno ricominciare a
seguirci.
Se la psicologia sia una scienza è da sempre un
dibattito aperto che vede schierati umanisti e scienziati. Questi, com’è noto,
si battono per affermare l’inutilità e l’arbitraria elevazione a ruolo di
scienza della disciplina psicologica, adducendo come prima motivazione la sua
impossibilità alla formulazione di leggi, ma soltanto probabilità,
l’inefficacia terapeutica e l’inconsistenza gnoseologica. Ammesso che ciò sia
vero, è, però, innegabile il suo essere un ponte perfettamente modellato tra
filosofia ed ermeneutica ed il fascino che esercita, nelle sue varie
espressioni e sfaccettature, sugli uomini che vogliono indagare la mente umana.
Come agisce, come risponde, come si muove nella realtà che la circonda.
Per quanto i campi di applicazione psicologica
costituiscano una vastissima gamma, mi vorrei soffermare su uno degli aspetti
più “emozionali”, ovvero il suo ruolo in campo artistico. Gli artisti, particolarmente sensibili alla
realtà che li circonda, riescono più di ogni altra “categoria umana” ad entrare
nel profondo dell’essenza antropica. Ciò rende particolarmente naturale il
rapporto con la psicologia, anche se oggi si parlerà, in modo particolare, di
psicoanalisi.
L’artista con cui voglio
dare il via è Renè Magritte, genio indiscusso, innovativo e sagace osservatore
di realtà insolitamente rappresentate che decontestualizza oggetti e persone,
lasciando lo spettatore ad un primo sguardo sgomento. Analizzando con più
attenzione le sue opere e cogliendone il senso profondo che ne ha voluto dare,
si capisce bene come l’artista si sia lasciato profondamente influenzare dalle
sue esperienze e dalle neonate teorie freudiane.
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Renè Magritte - "Le viol", 1934, Menil collection Houston |
Nel quadro “Le viol” ,che
è anche il manifesto del surrealismo, l'artista trasforma il volto di una donna nel suo corpo nudo (ricorrente
spesso nelle sue opere), oggetto di
desiderio per antonomasia. Un corpo che diventa un involucro anonimo,
privo di individualità, di
espressione e di sentimento. Al di là
del titolo che lascia immediatamente pensare alla violenza carnale subita da
una donna, l’artista fa riferimento anche a come lo sguardo di un uomo
superficiale e “selvaggio” veda una donna esclusivamente nella sua funzione di
“corpo”, negandole la sua essenza più vera, quella dell’anima e del sentimento.
Appaiono chiare l’impronta onirico - psicoanalitica:
spostamento e condensazione creano un’inquietante immagine surrealista della
donna violentata, ma non necessariamente in senso fisico. Questa centralità del
nudo in Magritte, richiama una teoria di stampo freudiano, secondo cui la
sessualità rappresenta, insieme alla nascita e alla morte, una delle esperienze
più significative e di maggiore impatto per la costruzione della personalità e causa
prima dei suoi maggiori disturbi mentali. Seppur ultracentenario, questo modo di
pensare si mostra in tutta la sua attualità, basti pensare a tutte le
deviazioni sessuali che fanno da teatro alla quotidianità.
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Renè Magritte - "Doppio segreto", 1927, museo nazionale d'arte moderna, Centro Georges Pompidou |
Non meno carico di senso
psicoanalitico è “Il doppio segreto”, questa figura dallo sguardo freddo e
inumano la cui lacerazione mostra una spaccatura profonda che ci lascia vedere
una realtà ruvida e nodosa molto diversa dal volto liscio, privo di
espressione. Una realtà, quindi, ben diversa dall’apparenza. Quell’apparenza
che, oggi più che mai, seduce e incanta al primo sguardo, che ci rende
superficiali a tal punto da non riuscire a capire che dentro ogni uomo c’è
un’effettività opposta che viene nascosta più o meno coscientemente e che gli impedisce
di muoversi con com-passione verso gli altri. Quei nodi interni all’uomo
possono rappresentare le problematiche interiori, ma anche un riferimento
all’infanzia (tema frequente nei suoi quadri) per via della somiglianza che
hanno ai sonaglini. Quell’infanzia che la psicoanalisi considera una tappa
fondamentale per la strutturazione di una personalità stabile, con un io forte
che sappia equilibrare le opposte richieste di es e super-io.
Il “doppio”, tema
ricorrente nell’autore, qui si spacca invece a metà per mostrare realtà fragili
di un uomo che, non dimentichiamolo, sta provando a risorgere dalle ceneri del
primo conflitto mondiale (l’anno di questo quadro è il 1927), un uomo svuotato
della propria dignità, della propria essenza e disumanizzato per la brama dei
potenti. Magritte vive entrambi i conflitti mondiali che, evidentemente,
suscitano in lui riflessioni e immagini, come possiamo vedere ne "La
grande guerra" (1967). Sullo sfondo di un cielo piatto e grigio un uomo
nascosto da una mela verde che cela proprio la parte più “viva” e personale di
un volto: lo sguardo. Uno sguardo spazzato via dalle trincee che hanno
annullato la personalità a tal punto da cancellarne metaforicamente il viso.
Il “doppio”, tema caro a
Magritte, ma anche a Freud nella sua teoria meno conosciuta, ma molto
interessante del perturbante.
Nel suo saggio, tra le altre spiegazioni, osserva che il sosia, e in generale
il doppio, è un motivo perturbante perché, il duplice è qualcosa che sovrasta
l'io portando angoscia. In tal senso si può anche pensare allo sdoppiamento di
personalità in gravi situazioni mentali.
Una situazione limite abilmente dipinta in
“Riproduzione vietata”, quando un uomo, guardandosi allo specchio, piuttosto
che vedere il suo viso, scorge una realtà prospettica insolita
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Renè Magritte - "La riproduzione vietata", 1937, museo Boymans di Rotterdam |
Ciò che siamo abituati a vedere, si mostra
all’improvviso diverso. Era sufficiente scavare un po’ più a fondo, andare
oltre la superficialità e l’apparenza, come vuole la psicoanalisi(?).
Giulia Bolle