IL PENSIERO ESTETICO ED IL GIUDIZIO DI VALORE NELL’ INFIDO MONDO DELL’ARTE
Lo spirito dell’uomo, perennemente alla ricerca del bello e della perfezione, è sempre stato teso al raggiungimento di quelle forme, luci ed ombre che classificano a pieno titolo un’opera come “opera d’arte”. L’incessante percorso che conduce per mano l’essenza creatrice degli uomini, ha dato vita all’estetica che, come la stessa etimologia richiama, concerne il “sentire”, la mediazione dei sensi ed indaga filosoficamente il bello e l'arte.
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Cristo velato Giuseppe Sanmartino, 1753 |
Ritenendo sterile darne una definizione, risulta, invece, interessante indagarla storicamente e filosoficamente nelle sue espressioni intrinseche.
Il processo di lenta ed inesorabile metamorfosi del pensiero sull’arte, ebbe inizio nel momento in cui la logica si scisse nettamente dall’estetica. La “cognito sensitiva”, con cui Baumgarten contrappose pensiero e sensibilità e la "teoria del bello" furono plasmate ed articolate per soppiantare definitivamente l’arte come mimesi o trascendenza.
L’arte, attraverso i secoli, è cambiata proporzionalmente alle evoluzioni ed involuzioni dell’uomo. Le opere considerate “d’arte”, la critica e le tecniche adoperate per le produzioni si sono trasformate, trasformando reciprocamente la società.
In quanto campo fondante dell’essere umano, l’arte è sempre stata una categoria filosoficamente indagata. Anche chi non ha fatto studi classici ricorderà, ad esempio, che se Platone avesse regalato un quadro o una statua, più che un dono sarebbe stato un dispetto a qualcuno che non era collocabile esattamente nella sua cerchia di amici simpatici. Considerando, infatti, l’arte una copia della copia del perfetto mondo ultrasensibile, poteva velatamente dire che quello era la brutta copia di un perfetto amico. Aristotele, invece, avrebbe potuto presiedere la giuria di un concorso di bellezza; per lui il "bello" è un concetto quasi matematico, implica ordine, simmetria di parti, proporzione. E chissà quanto avrebbe sofferto Kant se, vivendo ai giorni nostri pregni di volgarità e cattivo gusto, lottando contro i mulini a vento, affermava che l'arte dipende da alcune facoltà mentali umane, quali il gusto e l'estetica che generano il piacere. Ed è proprio la dissertazione kantiana che traghetterà il concetto d’arte dall’illuminismo al romanticismo in cui essa assume un pregnante significato teleologico. E ancora Croce, richiamandosi a Vico che per primo ha avuto il merito di distinguere l’intuizione dall’intelletto, che definisce l’arte intuizione lirica sintetizzando meravigliosamente il connubio tra captazione istintiva ed espressione visibile.
Solo per citare alcuni grandi pensatori che hanno dato un contributo fondamentale all’arte, è bene ricordare anche una teoria di marxiana memoria secondo cui l’arte è storicamente determinata. Non può che essere figlia dei tempi, pertanto i caratteri universale ed eterna non le vengono riconosciuti. Nessuno oggi dipingerebbe “La Vergine delle rocce”, né scolpirebbe “Il Discobolo”, l’anacronismo risulta evidente.
Il bello vuole essere soltanto sentito, contemplato, vuole regalare quell’attimo di quieto scuotimento che riesca ad arricchire la nostra anima.
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Sfere di plastica da Trinità dei Monti , Graziano Cecchini, 2008 |
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Una cosa è certa, sinceramente dubito che la merda d’autore o una colata di palline a piazza di Spagna, possa provocare, anche nello spettatore più sensibile, la sindrome di Stendhal, la stessa che rapisce chi si trova a Santa Maria Maggiore, chi è al cospetto della perfezione marmorea del Canova o chi si trova innanzi ad un Michelangelo.
Ma quell’innegabile perfetto connubio esistente tra spirito e natura, intimamente legate da sottili fili di chiari di luna, che nel corso dei secoli ha generato i capolavori più belli e rinomati dell’arte, sembra essersi perduto attraverso i secoli a vantaggio della necessità di espressione e comunicazione.
Cosa resta di quell’impulso interiore che spinge l’artista a dare alla luce un’opera? Questa aspirazione spirituale nell’urgere di un sentimento è sempre onesta o è diventata solo mestiere? E l’apparato intellettuale che ha strutturato quanto è stato descritto cosa è diventato? Sono domande che si pone chi, osservando e seguendo da sempre l’arte, si rende conto che ormai chi tiene i fili dell’apparato sono i signori critici dell’arte, trasformati in vere e proprie sanguisughe che, gestendo come tiranni questo mondo, succhiano le anime di chi lo produce. Intenti soltanto a plasmare contenitori spesso vuoti, i sovrani assoluti della vernissage, li assurgono al rango di artisti solo per ostentare potenza commerciale e creare il fenomeno mediatico in grado di concimare un substrato di redditizie menzogne. Per un artista l’immaginazione e la fantasia sono indispensabili o basta un ammiccamento alla logica della autopropaganda col solo fine di stupire? E la comunicazione, altro elemento che ha riempito le pagine dei tomi culturali moderni, è indispensabile? E quanto deve essere esplicitata?
Elaborare un input esterno e convertirlo in immagine artistica dovrebbe essere l’alchimia capace di trasformare la tangibilità in pura realtà spirituale, universale, eterna.
E’ significativa, in tal senso, la differenza tra moda e arte che indica la prima come bellissima appena creata che diviene orribile invecchiando mentre la seconda, quasi sempre orribile appena prodotta anela un destino immortale.
L’entità sovrannaturale dell’esperienza artistica, quasi come un miracolo, viene definita dall’estetica “intuizione” nell’accezione di visione, immaginazione. Un’intuizione che nell’anima dell’artista deve essere già chiara e matura. E’ strano come da una folgorazione dell’attimo arrivata quasi per caso ad un ricettore sensibile si possa concretizzare un’opera d’arte: una magia, sulla quale tanta gente, con la presunzione del veggente, riesce a scrivere ciò che qualcun altro avrebbe voluto intendere, esprimere, comunicare. Un episodio squisitamente interiore, frutto di una tensione spirituale, ridotto nelle intenzioni di un fattorino travestito, a rango di buon affare. E’ curioso sentir parlare dell’”infido mondo dell’arte” così come viene comunemente definito oggi questo contenitore di passioni, occasioni ed ipocrisie. Per non parlare di “gallerie dai “pedigree inattaccabili” selezionate in maniera discutibile da curatori/affabulatori che alla fine si riducono a fare gli organizzatori di eventi mondani ad altissimo tasso di glamour. Questo, l’ex magico mondo dell’arte: un’accozzaglia di artisti e presunti tali baciati dal successo, collezionisti ricchi e prepotenti, businessmen, galleristi, critici, curatori e vampiri di ogni tipo. Ma la platea dov’è? Il fruitore o, come oggi potrebbe essere definito coerentemente, l’utilizzatore finale, cosa si trova davanti? E come dovrebbe fare oggi un artista a diventare famoso? E’ ancora importante avere qualcosa da dire e comunicarla in maniera originale? No, oggi la sola cosa importante è bussare alla porta di un gallerista influente o a quella di un curatore che per motivi spesso non comprensibili esplicitamente, deve convincere qualche collezionista a comprare qualcosa del talento in vetrina. Relazioni giuste e strategie, questo è il segreto. E allora benvenuto mister Banksy, solo così si poteva riportare veramente l’arte tra la gente e non seppellirla in una galleria d’arte cui accedere soltanto previo invito.
I soliti paradossi della vita: levare dalla condizione di prostituzione l’arte mettendola sulla strada…