venerdì 7 gennaio 2011

IL PENSIERO ESTETICO ED IL GIUDIZIO DI VALORE NELL’ INFIDO MONDO DELL’ARTE

Lo spirito dell’uomo, perennemente alla ricerca del bello e della perfezione, è sempre stato teso al raggiungimento di quelle forme, luci ed ombre che classificano a pieno titolo un’opera come “opera d’arte”. L’incessante percorso che conduce per mano l’essenza creatrice degli uomini, ha dato vita all’estetica che, come la stessa etimologia richiama, concerne il “sentire”, la mediazione dei sensi ed indaga filosoficamente il bello e l'arte.

Cristo velato Giuseppe Sanmartino, 1753
Ritenendo sterile darne una definizione, risulta, invece, interessante indagarla storicamente e filosoficamente nelle sue espressioni intrinseche. 
Il processo di lenta ed inesorabile metamorfosi del pensiero sull’arte, ebbe inizio nel momento in cui  la logica si scisse nettamente dall’estetica. La “cognito sensitiva”, con cui Baumgarten contrappose pensiero e sensibilità e la "teoria del bello" furono plasmate ed articolate per soppiantare definitivamente l’arte come mimesi o trascendenza.
L’arte, attraverso i secoli, è cambiata proporzionalmente alle evoluzioni ed involuzioni dell’uomo. Le opere considerate “d’arte”, la critica e le tecniche adoperate per le produzioni si sono trasformate, trasformando reciprocamente la società.
In quanto campo fondante dell’essere umano, l’arte è sempre stata una categoria filosoficamente indagata. Anche chi non ha fatto studi classici ricorderà, ad esempio, che se Platone avesse regalato un quadro o una statua, più che un dono sarebbe stato un dispetto a qualcuno che non era collocabile esattamente nella sua cerchia di amici simpatici. Considerando, infatti, l’arte una copia della copia del perfetto mondo ultrasensibile, poteva velatamente dire che quello era la brutta copia di un perfetto amico. Aristotele, invece, avrebbe potuto presiedere la giuria di un concorso di bellezza; per lui il "bello" è un concetto quasi matematico, implica ordine, simmetria di parti, proporzione. E chissà quanto avrebbe sofferto Kant se, vivendo ai giorni nostri pregni di volgarità e cattivo gusto, lottando contro i mulini a vento, affermava che l'arte dipende da alcune facoltà mentali umane, quali il gusto e l'estetica che generano il piacere. Ed è proprio la dissertazione kantiana che traghetterà il concetto d’arte dall’illuminismo al romanticismo in cui essa assume un pregnante significato teleologico. E ancora Croce, richiamandosi a Vico che per primo ha avuto il merito di distinguere l’intuizione dall’intelletto, che definisce l’arte intuizione lirica sintetizzando meravigliosamente il connubio tra captazione istintiva ed espressione visibile.
Solo per citare alcuni grandi pensatori che hanno dato un contributo fondamentale all’arte, è bene ricordare anche una teoria di marxiana memoria secondo cui l’arte è storicamente determinata. Non può che essere figlia dei tempi, pertanto i caratteri universale ed eterna non le vengono riconosciuti. Nessuno oggi dipingerebbe “La Vergine delle rocce”, né scolpirebbe “Il Discobolo”, l’anacronismo risulta evidente.
Il bello vuole essere soltanto sentito, contemplato, vuole regalare quell’attimo di quieto scuotimento che riesca ad arricchire la nostra anima.


Sfere di plastica da Trinità dei Monti , Graziano Cecchini, 2008



Una cosa è certa, sinceramente dubito che la merda d’autore o una colata di palline a piazza di Spagna, possa provocare, anche nello spettatore più sensibile, la sindrome di Stendhal, la stessa che rapisce chi si trova a Santa Maria Maggiore, chi è al cospetto della perfezione marmorea del Canova o chi si trova innanzi ad un Michelangelo.
Ma quell’innegabile perfetto connubio esistente tra spirito e natura, intimamente legate da sottili fili di chiari di luna, che nel corso dei secoli ha generato i capolavori più belli e rinomati dell’arte, sembra essersi perduto attraverso i secoli a vantaggio della necessità di espressione e comunicazione.
Cosa resta di quell’impulso interiore che spinge l’artista a dare alla luce un’opera? Questa aspirazione spirituale nell’urgere di un sentimento è sempre onesta o è diventata solo mestiere? E l’apparato intellettuale che ha strutturato quanto è stato descritto cosa è diventato? Sono domande che si pone chi, osservando e seguendo da sempre l’arte, si  rende conto che ormai chi tiene i fili dell’apparato sono i signori critici dell’arte, trasformati in vere e proprie sanguisughe che, gestendo come tiranni questo mondo, succhiano le anime di chi lo produce. Intenti soltanto a plasmare contenitori spesso vuoti, i sovrani assoluti della vernissage, li assurgono al rango di artisti solo per ostentare potenza commerciale e creare il fenomeno mediatico in grado di concimare un substrato di redditizie menzogne. Per un artista l’immaginazione e la fantasia sono indispensabili o basta un ammiccamento alla logica della autopropaganda col solo fine di stupire? E la comunicazione, altro elemento che ha riempito le pagine dei tomi culturali moderni, è indispensabile? E quanto deve essere esplicitata?
Elaborare un input esterno e convertirlo in immagine artistica dovrebbe essere l’alchimia capace di trasformare la tangibilità in pura realtà spirituale, universale, eterna.
E’ significativa, in tal senso, la differenza tra moda e arte che indica la prima come bellissima appena creata che diviene orribile invecchiando mentre la seconda, quasi sempre orribile appena prodotta anela un destino immortale.
L’entità sovrannaturale dell’esperienza artistica, quasi come un miracolo, viene definita dall’estetica “intuizione” nell’accezione di visione, immaginazione. Un’intuizione che nell’anima dell’artista deve essere già chiara e matura. E’ strano come da una folgorazione dell’attimo arrivata quasi per caso ad un ricettore sensibile si possa concretizzare un’opera d’arte: una magia, sulla quale tanta gente, con la presunzione del veggente, riesce a scrivere ciò che qualcun altro avrebbe voluto intendere, esprimere, comunicare. Un episodio squisitamente interiore, frutto di una tensione spirituale, ridotto nelle intenzioni di un fattorino travestito, a rango di buon affare. E’ curioso sentir parlare dell’”infido mondo dell’arte” così come viene comunemente definito oggi questo contenitore di passioni, occasioni ed ipocrisie. Per non parlare di “gallerie dai “pedigree inattaccabili” selezionate in maniera discutibile da curatori/affabulatori che alla fine si riducono a fare gli organizzatori di eventi mondani ad altissimo tasso di glamour. Questo, l’ex magico mondo dell’arte: un’accozzaglia di artisti e presunti tali baciati dal successo, collezionisti ricchi e prepotenti, businessmen, galleristi, critici, curatori e vampiri di ogni tipo. Ma la platea dov’è? Il fruitore o, come oggi potrebbe essere definito coerentemente, l’utilizzatore finale, cosa si trova davanti? E come dovrebbe fare oggi un artista a diventare famoso? E’ ancora importante avere qualcosa da dire e comunicarla in maniera originale? No, oggi la sola cosa importante è bussare alla porta di un gallerista influente o a quella di un curatore che per motivi spesso non comprensibili esplicitamente, deve convincere qualche collezionista a comprare qualcosa del talento in vetrina. Relazioni giuste e strategie, questo è il segreto. E allora benvenuto mister Banksy, solo così si poteva riportare veramente l’arte tra la gente e non seppellirla in una galleria d’arte cui accedere soltanto previo invito.
I soliti paradossi della vita: levare dalla condizione di prostituzione l’arte mettendola sulla strada…

Graffit removal, Banksy

4 commenti:

  1. Purtroppo è proprio vero che l'arte ha lasciato sempre più spazio a qualcosa che si allontana anni luce da quelli che sono i parametri di ciò che viene definito bello, di ciò che dà sollievo alla nostra anima rinfrancandola dalle brutture della vita. Il business si è impossessato dell'uomo in ogni suo aspetto, tutto deve muoversi intorno al dio denaro, altrimenti non vale la pena alzare un solo muscolo, nè scomodare i nostri ultimi preziosissimi neuroni rimasti nei cervelli vuoti di contenuti, ma pieni zeppi di immagini alla moda che, come affermi tu, è ben diversa dall'arte!
    Io sono una di quelle vittime della sindrome di Stendhal; le sensazioni che mi colgono davanti alle statue del Canova, davanti alla scuola di Atene (e non proseguo elenco), hanno qualcosa di incredibile, soprannaturale. Qualcosa che non ho mai provato in una mostra di pseudo arte moderna fatta assemblando rifiuti o materiale riciclato. Ci sarà un motivo???!!!
    Rosy

    RispondiElimina
  2. Ciao, sono ColpaMetafisica di filosofipercaso o, se preferisci, Donatella Quattrone.
    L'ultima volta che sono andata a Napoli avrei dovuto vedere il "Cristo velato" ma in quel momento era chiuso. Bello vedere qui questa foto.
    In alcuni punti della parte del tuo scritto mi hai riporto agli anni dell'università quando studiavo estetica come materia tra gli esami di filosofia a scelta e ancora non sapevo che tale materia mi avrebbe particolarmente appassionato. La mia passione per l'estetica è nata quando ho chiesto la tesi, all'inizio solo perchè era il voto più alto. Ma poi ho cominciato ad apppassionarmi dell'arte in genere, anche se sono molto ignorante sull'argomento.
    Sono pressocchè d'accordo con te. Mon mi piacciono certe forme di arte contemporanea.Amo i musei. Quando sono andata a Madrid ho visitato sia il Reina Sofia sia il Museo del Prado. Sono rimasta allibita - nel senso ungarettiano del termine - dalla sublime tragicità della "Gernica" di Picasso, stupita di fronte a "Il Grande masturbatore" di Dalì, visivamente coinvolta da "Il 3 maggio 1808" di Goya e ho osservato le morbide forme della "Maia vestida e desnuda" sempre di Goya. Così come non si può non ammirare la bellezza della "Pietà" di Michelangelo nel duomo di Firenze.
    Ricordo invece a Montecatini Terme certe sculture nelle piazze del paese, che non mi sembravano meno incomprensibili nel senso delle scatolette di Piero Manzoni.
    Ma dalla pop art in poi l'arte si è sempre più mossa verso esigenze di comunicazione e di espressione, a volte belle altre volte meramente consumistiche. Resta in tali opere una delle caratteristiche dell'arte: quella dello stupore. Ma a fare le spese di questa esasperazione è la categoria del bello, sempre più trascurata come non essenziale, a favore di una tendenza verso il popolare, che non è ben chiaro cosa sia, e rischia di divenire sempre più popolarita, nel senso più gretto del termine.

    RispondiElimina
  3. Due delle esponenti di Filosofi per Caso che preferisco. Mi fa un piacere immenso interagire con qualcuno che apprezzo e che dona ulteriore forza, anche nel dissenso, a delle rilessioni personali. La ricerca dello "stupore" a tutti i costi purtroppo rischia di sporcare l'essenza di un messaggio, inquinando alla fine uno splendido mondo.
    Grazie per i commenti, renderò con piacere la cortesia commentando, a mia volta, i vostri brillanti componimenti nella speranza di un proficuo dialogo, termine purtroppo in via d'estinzione.
    Grazie Rosy, grazie Donatella. Roscio

    RispondiElimina
  4. Oggi si parla di arte come espressione e testimonianza del proprio tempo,bello è ciò che viene ben comunicato,quindi anche il brutto e l'orrido,se ben espresso rientrano nelle categorie del bello.Il concetto del bello non corrisponde al rassicurante,al piacevole ma a ciò che coinvolge e stravolge,fa riflettere,interroga.Turner ne è un primo esempio!*Dall'arte mi aspetto che mi aiuti a ripensare il mondo*(G.Vattimo)

    RispondiElimina