domenica 9 ottobre 2011

Paralleli confinanti ai tempi della globalizzazione


 
 Coca Cola bottles (1962), Andy Warhol
 

Modernità, tecnologia e globalizzazione: ecco rappresentata la società attuale. Si si!!! Tutto si muove in funzione di queste componenti che hanno reso l’uomo un abitante del cosmo, un essere che vive sul filo delle stelle potendo cogliere tutto quello che gli necessita al solo schioccare delle dita. Niente gli è negato… o almeno questo è ciò che appare, quel che vogliono farci credere. Ma cosa accade veramente quando dobbiamo fare i conti con realtà diverse e nuove dalle quali ci aspettiamo una copia (forse brutta e sbiadita, ma pur sempre copia) del nostro microcosmo? Quel filo di speranza, misto a paura per l’ignoto, viene tagliato pressoché immediatamente allo sbarco nella nuova realtà. I luoghi non si somigliano, le persone non ci somigliano. Lo sguardo è ostile, indifferente; i gesti di palese opportunismo. Possibile che la memoria tradisca a tal punto? Non riconosco odori, suoni, volti. I sentimenti non si globalizzano e basta sporgersi oltre il parallelo di riferimento per affacciarsi su un’estraneità che fa paura, aliena e rende il cuore una pietra ben affilata da scagliare contro l’altro. Certo, a meno che “l’altro” non dovesse rivelarsi una pedina utile. E si, sembrerebbe essere proprio l’utilità il sentimento attorno al quale ruotano molte realtà sociali superficialmente considerate positive per il solo fatto che sanno vendersi molto bene. La pubblicità è l’anima del commercio, ma anche un commercio di anime. Chi meglio sa piazzarsi sul mercato vive, poi, di rendita. Ed ecco che qualche prato curato, una pista ciclabile e poco traffico automobilistico rendono un luogo una meta ambita, fanno aumentare a dismisura il prezzo delle case e della vita, sì da consentirne l’accesso soltanto ai nuovi ricchi, dietro cui si nascondono troppo spesso affari loschi e traffici strani. Ma questo non si dice.
Un giorno, però, entrando per caso in un supermercato a far la spesa, d’improvviso, mi sento quasi bene. Sulle prime non mi rendo conto di cosa sta accadendo, poi realizzo che negozi e marchi sono identici a quelli di “casa mia”, anche nella loro disposizione strategica e allora comprendo amaramente che la sola cosa che “i potenti” vogliono globalizzare è il nostro modo di spendere i soldi. Il lavaggio del cervello che dura da anni, dà i suoi frutti e li fa penzolare davanti ai nostri occhi, ma noi siamo troppo impegnati rendere irreversibile il processo di automazione per reagire e ci facciamo candidamente cullare dal frastuono del centro commerciale di turno.
Inutili esseri dallo sguardo spento che si aggirano come zombie per lunghi corridoi colorati di nulla, lasciando una scia di ignoranza dietro sé da tramandare ai posteri per un’altra generazione di isole infelici. Questo appare il senso del cosmopolitismo universale che sottolinea, in chi è capace di coglierle, differenze evidenti anche in latitudini confinanti che mi pregio di guardare “dal basso”.

Alessandro Ponte

2 commenti:

  1. Discorso amaro e pessimista, d'altra parte fondato sulla realtà che ci circonda. Dove migliaia di persone si alzano la domenica mattina con l'idea di fare una passeggiata con tutta la famiglia al centro commerciale. Meta turistica molto ambita perchè oltre a fare shopping si può anche gustare un caffè, un gelato, oppure mangiare un panino e bere coca cola all'ora di pranzo.

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