Ricordo ancora le parole di un bimbo di sette anni che dopo lo stridio di una serranda malmessa e il cigolio di una vecchia porta di legno che lo introducevano per la prima volta in dei locali siti in zona centrale della mia città mi apostrofò così: papà….. ma perché hai comprato questa topaia?
com'era |
Vi assicuro che ne aveva tutte le ragioni. I “loculi” come li avrebbe definiti un altro figlio in una celebre pellicola, apparivano davvero malmessi e distribuiti in maniera che definire rigida e sconsiderata appare eufemistico. La memoria mi riporta, di tanto in tanto, ancora gli odori di quella che diventò una lunga odissea, è pertinente così definirla, che mi fece approdare sui lidi del mio attuale studio che con affabile sarcasmo qualcuno battezzò “Penelope”. L’architettura è una cosa complicata soprattutto a causa del rapporto che si instaura tra architetto e committente, le istanze estetico/funzionali/morali, qualche volta anche esagerate lo ammetto, dell’uno si scontrano continuamente con una visione fondamentalmente opportunistica e quasi sempre miope dell’altro. Rileggo di tanto in tanto un libretto simpatico, scritto da un architetto, dal titolo “gli architetti… dovrebbero ammazzarli da piccoli” e ricordo tutti i dubbi e le perplessità che, in questo caso, il mio doppio ruolo mi imponeva. Come sempre, il mio fedele moleskine, che in quel periodo mi accompagnava anche a letto, come il radiotelescopio di Arecibo, catturava ogni utile intuizione captata nell’etere del mio universo mentale. Così, naturalmente, le mie visioni, macerate nei ripensamenti imposti dal ruolo di committente necessariamente parsimonioso, si materializzarono in un progetto che prese corpo piano piano e che ancora non è del tutto realizzato. Lo studio dell’architetto, quello che un mio collega amico definisce un tempio, il mio tempio, lo sto vivendo con calma, riscoprendolo con lentezza, vivendolo col timore di profanarlo ma esibendolo coll’entusiasmo e l’orgoglio con cui si “espone” un figlio. Ogni scarafone è bello a papà suo, fatemi sapere.
Rosario Ciotto
foto di Salvatore Privitera
amici miei... che spettacolo!
RispondiEliminaComplimeti!!! Foto belle e che rendono l'idea.
RispondiEliminaOltre all'evidente sconcerto che si prova tra il prima e dopo, hai creato ambienti davvero magnifici, degni delle migliori riviste di design. Perchè l'ubicazione geografica non ci consente di varcare certi confini? Perchè è così difficile emergere per chi, malgrado un talento del genere, non vive a Londra, Milano o Berlino?
RispondiEliminaRoberta
sembra diventato un posto tranquillo e accogliente...(forse la magia sta anche nel non aver dimenticato le "origini" )la prospettiva della 4°foto è quella che attira di più il mio occhio.
RispondiEliminaa presto.
questo bambino deve essere fiero del suo papà, perchè come recita una famosa fiaba..."la zucca diventò carrozza"! io non avevo alcun dubbio che con tua testa e con le tue mani tutto si sarebbe trasformato in maniera splendida. complimenti amico mio!
RispondiEliminaMa che meraviglia questi nuovi ambienti. Sono caldi, accoglienti, con una grande personalità. Davvero uno spettacolo.
RispondiEliminaOttimo.Spazio recuperato, sapientemente illuminato, accogliente...Mi piacciono le due foto che mostrano i due livelli di fruizione ottenuti con la realizzazione del soppalco.
RispondiEliminama scusa almeno lo scaldabagno lo potevi lasciare.....
RispondiEliminabello Rosario, si percepisce la calma, l'accogliente, atmosfera in cui ci si sente a proprio agio, mi piace tanto!Liliana
RispondiEliminabellissimo, ma noi già lo sapevamo :) Bea.
RispondiEliminaLe foto mi hanno lasciato senza fiato... quando uno ha già in mente cosa vuole, il gioco è per metà fatto :)
RispondiEliminaSembrano le foto tratte dal programma di trasformazioni di case di RealTime!!! Accidenti è davvero un "prima e dopo la cura!"
RispondiEliminaComplimenti!